Succede che una notte dalla parete dell’ultimo piano di viale Mazzini cade un quadro. Chi raccoglie i cocci si accorge che non è la tela del fiorentino Ottone Rosai, ma una copia. Allarme. Qualcosa non torna. Il presidente Foa “di persona personalmente”, come direbbe il Catarella di Montalbano, organizza le prime indagini interne. Il cerchio si stringe intorno a un ex dipendente. Sì, ammette, rubai quel quadro negli anni settanta, ne ricavai 25 milioni di lire e lo sostituii con una foto. Ma è solo l’inizio. La lista dei capolavori acquistati dal servizio pubblico e dispersi nel mondo è lunga: Guttuso, De Chirico, Monet, Casorati, arazzi, litografie, e la scultura in scala del cavallo morente di Francesco Messina. Milioni di euro, dicono Sgarbi e Bonito Oliva. Andremo a fondo, promette il direttore dei beni artistici della Rai. E Piero Angela ricorda che il “vizio” di accaparrarsi l’arte per esporla in salotto è sempre esistito. Ma ricostruire decenni di ruberie e la catena di dipendenti infedeli mentre si risponde alla domanda “come mai nessuno si è accorto che quell’olio era in realtà un cartonato?” è un mestiere che metterebbe in difficoltà anche don Matteo. Più che un investigatore qui ci vorrebbe un creativo, un fantasista dell’intrattenimento, qualcuno che in quella parete di falsi sappia cogliere l’omaggio a buona parte del palinsesto tv: una preziosa galleria di repliche, repliche, nient’altro che repliche. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1414 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati