La casa editrice Tamu, nota per il suo lavoro sulle prospettive decoloniali e femministe e che vanta in catalogo testi di bell hooks e Marielle Franco, inaugura la collana Scritture meridiane, diretta da Carmine Conelli. L’idea è affrancare dai classici binarismi della questione meridionale la saggistica di chi ha fatto del sud la propria materia di studio, per inserirla in una cornice globale. Tra i primi libri appare Napoli balla. Dancefloor e sottoculture nella città postcoloniale di Gennaro Ascione, professore di sociologia e studi culturali all’università L’Orientale di Napoli. Si recupera così l’esistenza di etichette meteora come la Bbb – Black Butterfly Records, attiva dal 1971 al 1980 – e si conferma l’originalità di band come gli Showmen con l’“amefricanapoletano” James Senese, malgrado certe apparizioni televisive da Renzo Arbore. Trattandosi di dancefloor è inevitabile partire dal re della notte, Renato Carosone, e in particolare dalla sua esperienza in Africa, quando a 17 anni accettò la proposta di un colono italiano in Abissinia di far parte di un programma di “arte varia”. Non andò bene: Carosone si sentì dare del “terrone”, ma s’imbatté in qualcosa di essenziale. Tra oppressione coloniale e cultura interetnica, ricavò una forma particolare di malinconia, come puntualizza Ascione: “Un sentimento di nostalgica accettazione dell’impossibilità del ritorno a casa. La malinconia dell’esilio addolcita dal sapore onirico della fantasia: tezeta, in lingua amarica, che nel 1969 troverà espressione attraverso il magico vibrafono del musicista Mulatu Astatke”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati