I leader del Partito comunista cinese potrebbero scoprire di avere un debito nei confronti di Darren Watkins Jr, un ventenne dell’Ohio che trasmette video in tempo reale. Noto con lo pseudonimo di “IShowSpeed”, ha fatto più lui per l’immagine della Cina all’estero della pomposa propaganda del partito. Durante un viaggio di due settimane tra marzo e aprile ha mostrato ai suoi 38 milioni di follower la ricca storia del paese (con una capriola all’indietro sulla Grande muraglia), la cordialità dei suoi abitanti (ha scherzato con il più raffinato imitatore cinese di Donald Trump) e la sua tecnologia avanzata (ha ballato con un robot umanoide, si è fatto consegnare un ordine da Kfc con un drone e ha provato un taxi volante). Mentre entrava in un lago a Shenzhen a bordo di un suv elettrico anfibio in stile James Bond, Watkins era elettrizzato: “Oh mio dio, questa macchina non affonda! La Cina ce l’ha fatta, queste macchine cinesi ce l’hanno fatta!”. O, come ripete spesso: “La Cina è diversa, bro”.
È il genere di entusiasmo che i leader cinesi hanno sempre voluto ispirare negli stranieri. Il partito ha cercato di coltivare il soft power (la capacità di uno stato di ottenere ciò che vuole senza usare la coercizione o la forza militare) e ha a lungo criticato la narrazione anticinese sui mezzi d’informazione occidentali. Nel 2013 il politburo diceva che il soft power era essenziale per “il sogno di rinnovamento nazionale”. Non era semplice. La propaganda non funziona all’estero, dove molti conoscono l’autoritarismo del regime.
Però sempre più persone, soprattutto giovani, sono disposte ad andare oltre i lati negativi della Cina. E questo non grazie agli strateghi della comunicazione del partito. Watkins è uno dei tanti vlogger stranieri che postano resoconti sui loro viaggi nel paese, che ha riaperto le frontiere dopo la pandemia. Le aziende cinesi esportano tecnologia e cultura all’avanguardia. E poi c’è il crollo di popolarità registrato dagli Stati Uniti, per gentile concessione del presidente Donald Trump. Il 15 maggio il Quotidiano del Popolo, il giornale ufficiale del partito, titolava: “Come ha fatto la Cina a diventare cool?”.
Secondo uno studioso statunitense, un decennio fa la Cina spendeva dieci miliardi di dollari all’anno per migliorare la sua immagine all’estero. Ora la cifra potrebbe essere più alta. Sono stati aperti cinquecento istituti Confucio presso università straniere, in cui si offrono lezioni di mandarino e programmi culturali. I mezzi d’informazione di stato diffondono storie positive sui social media occidentali. Ogni anno centinaia di giornalisti stranieri sono invitati in Cina per ammirare i suoi fiori all’occhiello, come l’impressionante rete ferroviaria ad alta velocità.
Questi sforzi dall’alto verso il basso sono stati però superati dalle innovazioni dal basso verso l’alto. DeepSeek, app dell’intelligenza artificiale, ha attirato l’attenzione presentando modelli molto meno cari da addestrare rispetto a quelli occidentali e quasi altrettanto efficaci. Le auto elettriche cinesi vendono oltreoceano e i droni sono da anni leader a livello mondiale. Ora anche i prodotti culturali cinesi stanno guadagnando fan all’estero. Se la Cina guardava con invidia il successo del k-pop negli anni 2010 e la musica e la tv cinesi continuano a essere prodotti di nicchia fuori dal mondo che parla mandarino, il paese sta ottenendo grandi risultati nel settore dei videogiochi. Ha sviluppato quattro dei dieci giochi per smartphone che hanno registrato i maggiori guadagni nel 2024. Uno di questi è Genshin impact, che guadagna più di un miliardo di dollari all’anno. Black myth Wukong, il primo videogioco campione d’incassi del paese, è impregnato di folklore cinese. Il 30 per cento dei suoi 25 milioni di giocatori pare viva fuori del paese. TikTok, l’app di video brevi di proprietà dell’azienda cinese Bytedance, è scaricata più di qualsiasi altro social media, e i “microdrammi” cinesi, episodi della durata di un minuto progettati per essere guardati sul telefono, appassionano anche gente in Messico e Indonesia.
La popolarità della Cina è calata molto durante la pandemia, ma poi ha invertito la rotta. Ogni anno la società di consulenza Brand Finance chiede a centomila persone in tutto il mondo cosa pensano di alcuni paesi e della loro influenza. Nel 2021 la Cina era all’ottavo posto, quest’anno è al secondo, dietro gli Stati Uniti. I sondaggi della ong danese Alliance of democracies foundation mostrano che l’atteggiamento nei confronti della Cina migliora in modo costante dal 2022, con un “indice di percezione netta” che è passato dal -4 per cento di quell’anno al +14 per cento dell’ultima rilevazione, pubblicata a giugno. Gli Stati Uniti sono scesi da un +22 per cento a un -5 per cento solo nell’ultimo anno. Secondo l’istituto Pew anche negli Stati Uniti, dove la Cina non è molto popolare, le opinioni si sono mitigate. I giovani, in particolare, sono più morbidi.
Vicini scettici
I vicini asiatici, molti coinvolti in dispute territoriali con Pechino, sono più scettici. Secondo Andrew Chubb dell’università britannica di Lancaster, in Europa la popolarità della Cina si scontra con dei “limiti invalicabili” per la mancanza di democrazia e le violazioni dei diritti umani. Molti, per esempio, sostengono che l’entusiasmo a cui assistiamo nasconde l’autoritarismo del partito. Secondo altri, invece, il partito si è fatto semplicemente più scaltro e sta agevolando in modo discreto ma attivo figure come Watkins.
Pechino sembra comunque confidare nel fatto che i visitatori apprezzeranno la Cina indipendentemente dalla loro provenienza. Nel 2024 ha tolto le restrizioni sui visti per i cittadini di 38 stati (principalmente europei) per soggiorni fino a un mese. Circa trenta milioni di turisti sono stati in Cina nel 2024, l’80 per cento in più rispetto al 2023, ma meno rispetto al picco prepandemia. Secondo Shaoyu Yuan della Rutgers university, in New Jersey, il compito più difficile per i funzionari cinesi è lasciare che il lato affascinante del paese parli da sé. “Non è semplice per un sistema costruito sulla disciplina e sul controllo dei messaggi”, afferma. Nel 2024 settanta studenti della Duke university, in North Carolina, hanno visitato la Cina. Una di loro racconta che i mezzi d’informazione statali li hanno assillati, obbligandoli a parlare bene del paese. Una troupe televisiva, ricorda, “mi ha insegnato una poesia in mandarino che includeva la frase ‘amo la Cina’”. Come potrebbe confermare qualsiasi adolescente, la Cina sarebbe molto più cool se non si sforzasse così tanto di sembrarlo. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati