Una guerra può nasconderne un’altra. Nel corso delle ultime settimane, mentre tutti gli sguardi erano rivolti verso i conflitti in Medio Oriente, la guerra in Ucraina non ha perso intensità.
Al contrario, lo scorso fine settimana la Russia ha effettuato il bombardamento aereo più intenso dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, più di tre anni fa.
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Nel giro di poche ore il territorio ucraino è stato preso di mira da 537 droni, missili e altri ordigni esplosivi. La difesa antiaerea di Kiev ne ha distrutti la metà, ma gli altri hanno colpito le città ucraine, compresa la capitale, dove la popolazione ha trascorso diverse ore nei rifugi e nelle stazioni della metropolitana. A giugno il ritmo degli attacchi condotti con i droni e il lancio di missili russi è stato tre volte superiore rispetto a quello dell’anno scorso.
Sempre nell’ultimo fine settimana, l’Ucraina ha perso uno dei suoi caccia F-16: dopo essere stato colpito, il pilota è morto nel tentativo di non schiantarsi su una zona abitata. L’aspetto più preoccupante per gli ucraini, però, riguarda l’offensiva russa in preparazione.
Secondo le autorità di Kiev, cinquantamila soldati russi sono ammassati a una ventina di chilometri da Sumy, capoluogo della regione nel nord del paese, ormai minacciato dalle forze di Mosca. Il rapporto tra soldati russi e militari ucraini è di tre a uno, dato che nonostante le perdite considerevoli la Russia può contare su una riserva di gran lunga superiore rispetto a quella dell’avversario.
Ogni anno, in questa stagione, riprendono regolarmente le offensive, ma questa volta è chiaramente l’Ucraina a trovarsi in posizione difensiva. L’esercito del paese compensa la sua inferiorità numerica con la sua inventiva, come dimostrano le operazioni condotte con i droni all’interno del territorio russo negli ultimi mesi.
Nessun esperto teme un crollo militare di Kiev, ma verosimilmente la strategia russa è quella di sfiancarne l’esercito ed esaurire le sue riserve di armi e munizioni, punto debole di Kiev. È qui che entra in gioco la diplomazia, perché condiziona la consegna di armi e il sostegno finanziario e politico che negli ultimi tre anni ha permesso all’esercito ucraino di reggere l’urto.
Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, la politica degli Stati Uniti sull’Ucraina dipende dall’umore del presidente. Abbiamo visto il lato peggiore di questa realtà a febbraio, con l’umiliazione inflitta a Volodymyr Zelenskyj nello Studio Ovale. L’atmosfera è stata molto diversa la settimana scorsa, quando a margine del vertice della Nato all’Aja, nei Paesi Bassi, Trump ha ritrovato Zelenskyj e ha parlato di un incontro “estremamente piacevole”.
L’incostanza di Trump è diventata un’arma per Vladimir Putin. Per il momento il presidente statunitense sta rispettando gli impegni presi dal suo predecessore Joe Biden sulla consegna di armi, ma i contratti termineranno nel corso dell’estate. Pur non avendo dato chiarimenti sul futuro, Trump sembra aperto all’invio di batterie di missili antiaerei. Il problema è che allo stesso tempo evita di attaccare Putin, nonostante quest’ultimo sia responsabile del fallimento del tentativo di Washington di fermare la guerra. Il presidente russo, naturalmente, approfitta di questa ambivalenza.
Nel frattempo gli europei si preparano ad approvare il diciottesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, uno dei più duri finora, ribadendo in ogni modo la propria intenzione di continuare a sostenere l’Ucraina. Ma purtroppo, senza gli statunitensi, l’Europa sembra incapace di influire in modo decisivo sul rapporto di forze. Per gli ucraini, soli su questo fronte del caos mondiale, l’estate sarà lunga e difficile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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