Cinque minuti filati di botte. “Non mi hanno nemmeno dato il tempo di girare la testa. I russi non dicevano nulla. Continuavano a picchiarmi”. Finita la scarica di colpi, Vitalij (i nomi dei protagonisti della storia sono stati cambiati) non aveva più forze. I suoi compagni di prigionia lo hanno aiutato a pulirsi il viso, che era coperto di sangue. Dopo una pausa i carcerieri sono tornati. Gli hanno messo un sacchetto in testa, lo hanno fatto stendere sul pavimento e lo hanno legato. “Mi hanno collegato dei fili alle gambe. Non ricordo quanto tempo sia durato. Mi hanno dato delle scosse elettriche”, dice calmo Vitalij, un ex meccanico seduto a un tavolo del ristorante georgiano Puri Chveni, a Zaporižžja. Non ordina niente da mangiare o da bere. È un uomo ferito, non solo nel fisico, anche emotivamente. Per raccontare i dettagli della sua prigionia deve farsi coraggio.
Vitalij ricorda ogni momento del giorno in cui è stato fatto prigioniero. Il 27 luglio 2022 i russi si sono presentati alla sua officina nella città ucraina di Melitopol, occupata dalle forze di Mosca. Lo hanno picchiato e gli hanno chiesto se conoscesse qualcuno nell’esercito ucraino, poi lo hanno portato via. Il primo luogo in cui l’hanno trasferito è noto come “i garage”: una fabbrica abbandonata usata per torturare gli ucraini. È lì che lo hanno torturato con le scosse elettriche. In seguito è stato portato in un altro centro di detenzione, in cui le condizioni erano terribili. Ci è rimasto quasi due mesi. Non gli hanno permesso di contattare la famiglia o un avvocato, ma alla fine non hanno formalizzato nessuna accusa a suo carico. E la sera del 22 settembre 2022 lo hanno liberato. In seguito Vitalij ha lasciato i territori occupati da Mosca.
Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio 2022, migliaia di civili come Vitalij sono stati rapiti e tenuti prigionieri in segreto dai russi. “Molto spesso queste persone hanno lo status di incommunicado”, spiega Michail Savva, esperto del Centro per le libertà civili, un’ong ucraina che si occupa di diritti umani e che nel 2022 ha vinto il premio Nobel per la pace. “Significa che sono state rapite e sono rinchiuse da qualche parte in modo arbitrario. Vengono picchiate, torturate e costrette a rilasciare confessioni forzate”. Sono tagliate fuori dal mondo.
Questi “prigionieri fantasma” erano diventati un’ossessione per Viktorija Roščyna, la giornalista ucraina scomparsa il 3 agosto 2023 mentre indagava sui centri di detenzione segreti nel triangolo tra Melitopol, Enerhodar e Berdjansk, tre città occupate dell’Ucraina sudorientale. Anche lei era stata catturata. E aveva conosciuto il sistema detentivo messo in piedi dai russi. Roščyna era stata tenuta prigioniera per più di dodici mesi, di cui almeno otto nel carcere di Taganrog, città in territorio russo vicino al confine con l’Ucraina. Nell’ottobre 2024 il ministero della difesa russo l’ha dichiarata morta.
Forbidden Stories ha avviato un’indagine appena ha appreso la notizia. Per tre mesi, riunendo dodici testate giornalistiche, ha indagato sulle torture e la detenzione sistematica dei civili ucraini.
La brutalità quotidiana
La detenzione illegale dei cittadini ucraini comincia per tutti come ha raccontato Viltalij: i rapitori sono quasi sempre incappucciati, non portano segni distintivi e spesso hanno una mitragliatrice in spalla.
Erano circa le 9 del mattino del 24 agosto 2022, il giorno dell’indipendenza dell’Ucraina, quando Maksim Ivanov, un giardiniere di 28 anni, ha visto arrivare un gruppo di uomini armati su una Renault Duster. Stava distribuendo volantini filoucraini con la sua compagna, Tatjana Bech, nel centro di Melitopol.
“Mi hanno buttato a terra, hanno perquisito il mio zaino e controllato il telefono”, ricorda. Bech e Ivanov sono stati ammanettati e portati alla stazione di polizia in via Černyševskogo. Ivanov non ha avuto paura durante l’interrogatorio, condotto da due russi in maglietta, con berretto e passamontagna. Gli ha detto che “non avevano il diritto di occupare l’Ucraina”. I due hanno reagito colpendolo alle costole e sul viso.
Anche se è difficile dimostrarlo, la gente del posto crede che in queste azioni sia coinvolta l’intelligence russa. “Molto probabilmente è opera dell’Fsb (il servizio di sicurezza interna della Federazione Russa)”, dice Savva. “Ma non è sempre così. Non rivelano mai la loro identità. Potrebbero anche essere agenti del controspionaggio militare”.
Nel suo ultimo rapporto la commissione internazionale indipendente d’inchiesta sull’Ucraina, istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc), sostiene che i rapimenti sono principalmente opera delle forze armate russe e dell’Fsb. Ma l’impossibilità di stabilire con chiarezza l’esatta identità dei sequestratori ostacola le ricerche delle famiglie.
Olga, per esempio, ha smosso cielo e terra per rintracciare suo marito Aleksandr, catturato nel dicembre 2022 in un villaggio a nord di Melitopol. “Mi sono immediatamente rivolta al comitato investigativo della Federazione Russa”, spiega Olga, che ha 55 anni. “Ho contattato l’Fsb per due volte e mi è sempre stato risposto che mio marito non era detenuto e che non erano state mosse accuse contro di lui. E ho anche scritto otto volte al ministero della difesa russo, che mi ha risposto per la prima volta nel marzo 2024”.
Mentre le famiglie cercano di risalire ai loro cari mettendo insieme indizi sporadici, i prigionieri sono sottoposti a un trattamento brutale. Non solo a causa delle torture, ma anche per le terribili condizioni in cui si trovano, spiega Vitalij. La cella in cui era detenuto, nei “garage”, era una stanza di dieci metri per cinque, con una mensola di metallo vuota, un divano mezzo rotto e tre o quattro vecchie porte di legno su cui erano sistemate delle coperte strappate. Come gabinetto c’era un secchio messo in un angolo. “Dormivamo sul divano e sulle porte”, dice Vitalij. Il centro di prigionia successivo, quello di Melitopol, non era molto diverso: la cella si trovava in un seminterrato, aveva un lavandino rotto e non si poteva fare la doccia.
Irrintracciabili
A tutto questo si aggiungevano le sessioni di tortura quotidiane. “C’erano persone addette specificamente a questo compito”, racconta Petro, un altro civile ucraino detenuto nei “garage” per un mese. “Quando mettevano la musica a tutto volume, significava che stavano per cominciare a torturarci. Ma nonostante il rumore, riuscivo comunque a sentire il mio compagno di cella che urlava e li implorava di smettere”.
“Gli interrogatori sono sempre accompagnati da torture. Per ottenere una confessione, l’Fsb usa abitualmente la violenza”, racconta una fonte vicina ai servizi di sicurezza di un paese europeo.
Una volta ottenuta la confessione, a volte i prigionieri sono rilasciati. In altri casi sono trasferiti nel sistema carcerario ufficiale russo, dove comunque rimangono “prigionieri fantasma”, quasi impossibili da localizzare o contattare. Più raramente sono accusati di reati completamente inventati, per esempio terrorismo o sabotaggi.
Per queste persone finire in una colonia penale ufficiale russa o in un centro di detenzione preventiva riconosciuto da Mosca non vuol dire entrare in un sistema legale e regolato. Tutt’altro. “La Russia ha messo in piedi una macchina delle torture”, dice Alice Jill Edwards, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. “È una pratica istituzionalizzata, all’interno e all’esterno del paese”.
Il Coordinamento centrale ucraino per il trattamento dei prigionieri di guerra, un organo istituito dal governo di Kiev, e il Centro per le libertà civili hanno identificato 186 luoghi in cui sono confinati civili e soldati ucraini, in Russia e nei territori occupati. Forbidden Stories e i suoi partner hanno scoperto che in 29 di queste strutture la tortura e i maltrattamenti sono praticati sistematicamente. Il centro di detenzione numero 2 (o Sizo-2) a Taganrog, dove alla fine del dicembre 2023 è stata rinchiusa Viktorija Roščyna, è noto per essere uno dei peggiori.
Il buco nero
“È arrivata un’altra puttana ucraina. E adesso ce la scopiamo”. Sono le parole con cui Elizaveta Šylyk è stata accolta al suo arrivo al Sizo-2, il 31 gennaio 2023. Prima di insultarla, le guardie l’hanno spogliata e filmata da ogni angolazione. Quando le hanno messo le mani dietro la schiena per portarla in cella, un agente le ha detto: “Preparati, adesso ti facciamo vedere le gioie della vita”. L’agente che la scortava l’ha colpita con un bastone di metallo sui fianchi, sulle gambe, la schiena, le scapole e le braccia. “Ero sconvolta”, racconta Šylyk, ex soldata del battaglione Aidar dell’esercito ucraino. Aveva lasciato la carriera militare appena due mesi prima di essere arrestata.
Secondo l’indagine di Forbidden Stories, dall’inizio dell’invasione russa centinaia di ucraini, prigionieri di guerra e civili, sono passati per il Sizo-2. Prima della guerra nel centro di detenzione di Taganrog, città della regione di Rostov affacciata sul mar d’Azov, venivano rinchiusi minori e donne con bambini, tutti cittadini russi.
Nonostante la facciata verde chiaro, la struttura ha un aspetto estremamente cupo, con i suoi edifici in mattoni e il muro perimetrale sbiadito e delimitato dal filo spinato. Dopo il febbraio 2022 il servizio penitenziario federale russo (Fsin) l’ha trasformata in una sorta di fabbrica delle torture, ampliandola per renderla idonea a ospitare un numero sempre maggiore di prigionieri ucraini.
“Taganrog è uno dei posti peggiori dove sia stato”, dice Julian Pylypej, un ex soldato della marina militare ucraina tenuto prigioniero lì per un mese. Secondo Pylypej, che nei suoi trenta mesi di detenzione è stato rinchiuso in sei carceri diverse, al Sizo-2 avvengono le brutalità peggiori. Due volte al giorno “le guardie passano e ti picchiano con tutto quello che trovano”, spiega. “Sono stato colpito con il taser, pestato dappertutto, sulle braccia, sulle costole, e poi strangolato”.
Dall’inizio dell’invasione russa centinaia di ucraini, prigionieri di guerra e civili, sono passati per il carcere di Taganrog, sul mar d’Azov
Il funzionamento interno di Taganrog e dell’Fsin è un mistero, quasi impossibile da decifrare. Due attivisti russi per i diritti umani, che hanno chiesto di rimanere anonimi perché vivono ancora in Russia e hanno paura di ritorsioni, hanno dichiarato a Forbidden Stories che dopo l’invasione dell’Ucraina l’Fsin ha adottato misure per nascondere o cancellare le statistiche carcerarie, nel tentativo di ostacolare eventuali indagini sulle detenzioni illegali dei civili ucraini.
“Non sappiamo nulla sulle persone che lavorano lì o sulle strutture. È tutto assolutamente segreto”, hanno spiegato.
La stessa storia
Per aprire un varco in questo muro, Forbidden Stories e i suoi partner hanno usato immagini satellitari, che rivelano come, nei mesi dopo l’invasione, il sito di Taganrog si sia trasformato in una specie di Guantanamo russa. Con l’arrivo dei primi prigionieri, 89 combattenti del reggimento Azov di Mariupol, diversi edifici della prigione sono stati rivestiti con nuove coperture metalliche. Era il maggio 2022. Secondo quelle immagini, i lavori sono durati fino all’inizio del gennaio 2023.
Nonostante gli interventi di ampliamento, secondo la nostra indagine la prigione potrebbe comunque essere sovraffollata. Prima del febbraio 2022 nel Sizo-2 c’erano ufficialmente 442 detenuti, ma i dati che abbiamo raccolto sugli approvvigionamenti della struttura suggeriscono che il numero dei prigionieri è aumentato significativamente. Il rifornimento di patate, per esempio, è più che quadruplicato rispetto al novembre 2021. “La nostra cella era per tre persone, ma eravamo in sei”, fa notare Pylypej.
Gli interrogatori sono sempre accompagnati da torture. Per ottenere una confessione, l’Fsb usa abitualmente la violenza”
Le informazioni ottenute da una fonte dell’intelligence di Kiev confermano gli abusi: nel seminterrato del Sizo-2 è stata allestita una camera di tortura, dove i detenuti possono ricevere scariche di taser sul corpo bagnato, essere soffocati lentamente con una maschera antigas oppure essere rinchiusi nudi in una gabbia con un cane o a temperature sotto lo zero. A quanto pare, quindici persone sono morte per le torture e le percosse a partire dall’autunno 2024.
“Per due volte mi hanno fatto sedere su una sedia e mi hanno dato una scossa a 380 volt con i morsetti fissati tra le dita dei piedi bagnati”, ricorda Šylyk.
I suoi torturatori non avevano nomi o volti: indossavano maschere e per comunicare usavano soprannomi. Nonostante questo, Forbidden Stories è riuscito a identificare diversi agenti del Sizo-2: per esempio il direttore Aleksandr Štoda; Andrej Michajličenko, il suo vice; e Aleksandr Kljuykov, capo del dipartimento speciale del carcere.
Tra i torturatori ci sono anche uomini delle unità speciali dell’Fsin, con soprannomi come Groznyj, Shark, Lynx e Saturn. Questi agenti fanno la spola tra varie prigioni. Il loro obiettivo è piegare gli ucraini. “I capi ci dicevano apertamente che potevamo fare tutto quello che volevamo”, ha raccontato un ex membro delle forze speciali che ha deciso di disertare. “La violenza era sfrenata, completamente incontrollata”.
Nessuno dei funzionari russi che abbiamo contattato – al Cremlino, al servizio di sicurezza federale, al servizio penitenziario federale, a Taganrog – ha risposto alle nostre domande.
◆ Forbidden Stories è una rete di giornali e reporter internazionali che prosegue le inchieste e le storie di colleghi che sono stati uccisi o impossibilitati a lavorare. Questo articolo fa parte del Viktoriia Project, che si propone di portare avanti il lavoro di Viktorija Roščyna sulle violenze delle autorità russe nei territori ucraini occupati da Mosca. Viktorija Roščyna era una giornalista ucraina, nata nel 1996 a Zaporižžja. Arrestata per la prima volta nel marzo 2022 dai servizi di sicurezza russi, era stata tenuta in carcere per una settimana. All’inizio dell’agosto 2023 era stata nuovamente fermata nella zona occupata della regione di Zaporižžja, mentre indagava sui centri di detenzione russi. Da quel momento si sono perse le sue tracce. Solo nell’aprile 2024 il ministero della difesa russo ha fatto sapere alla famiglia che era detenuta in Russia. Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2024, è stata dichiarata morta. Nel febbraio 2025 il suo corpo, con segni di tortura e privo di alcuni organi interni, è stato riconsegnato alle autorità ucraine in una sacca senza nome durante uno scambio di cadaveri mediato dalla Croce rossa internazionale.
Nel frattempo i pochi russi esterni al sistema penitenziario autorizzati a visitare Taganrog continuano a ripetere la stessa storia. Le condizioni di detenzione degli ucraini nel Sizo-2 “non sono poi così cattive”, afferma per esempio Igor Omelčenko, presidente del Comitato pubblico di controllo, un’organizzazione che dovrebbe occuparsi di monitorare le strutture detentive del sistema penale russo.
Ricordi dolorosi
Ma per chi è stato rilasciato, il ricordo del Sizo-2 è ancora nitido e doloroso. Mychailo Čaplja, rinchiuso a Taganrog per ventidue mesi, ha le mani piene di cicatrici. Le guardie lo obbligavano a tenerle contro il muro e poi le colpivano, provocando degli squarci nei palmi. “Tutti quelli che escono da Taganrog hanno le stesse cicatrici”, spiega.
Nel frattempo le famiglie dei detenuti scomparsi continuano a cercare freneticamente i loro parenti. Tra loro c’è Anastasija Gluchovska, 32 anni, una giornalista che ha lavorato per l’agenzia d’informazione locale Ria Melitopol fino all’arrivo delle forze russe.
Dopo il suo rapimento, il 20 agosto 2023, la famiglia non ha avuto notizie di lei per un anno e mezzo, finché la Croce rossa russa non l’ha inserita nell’elenco ufficiale dei prigionieri di guerra il 26 febbraio 2025.
“Una fonte ci ha detto che era stata a Taganrog fino allo scorso agosto”, dice la sorella Diana. È quindi possibile che abbia incrociato Viktorija Roščyna. Diana racconta quant’è stata dolorosa per la famiglia la mancanza di notizie: le lettere senza risposta, il senso di colpa per non aver fatto abbastanza o per aver sottovalutato alcuni indizi chiave. “Abbiamo ricevuto una sola comunicazione in un anno e mezzo di prigionia. Non è normale”, spiega. “Mia sorella non ha fatto nulla di male. La tengono prigioniera solo perché gli va”. ◆ ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati