La nostalgia è cattiva consigliera, soprattutto nel campo della diplomazia. In questi giorni è impossibile avere una conversazione sulla guerra tra Iran e Israele senza che sia citato il discorso pronunciato all’Onu da Dominique de Villepin nel 2003. In quell’occasione il ministro degli esteri francese aveva messo in guardia gli Stati Uniti contro la tentazione d’invadere l’Iraq per abbattere il regime di Saddam Hussein. Il caos scaturito da quella guerra gli ha dato ragione.
Oggi il discorso di De Villepin è ripreso da chi accusa la Francia e l’Europa di esprimersi troppo timidamente. Certo, i confronti hanno i loro limiti, ma resta il fatto che Israele, al di là della distruzione del programma nucleare, ormai non nasconde di voler rovesciare il regime di Teheran. “Khamenei non può continuare a esistere!”, ha detto il 19 giugno il ministro della difesa israeliano Israel Katz parlando della guida suprema dell’Iran.
Gli europei non riescono a trovare il loro posto in questo scontro che coinvolge prima di tutto tre attori: Israele, Iran e Stati Uniti. Per l’ennesima volta, l’Europa rischia di perdere un’occasione per esprimere una posizione comune e una prospettiva autonoma nel frastuono della guerra.
Il premio per il cattivo gusto diplomatico e l’inadeguatezza politica spetta al cancelliere tedesco Friedrich Merz, che in occasione del G7 in Canada, organizzato questa settimana, ha dichiarato che Israele sta facendo “il lavoro sporco per noi”, una frase che è stata molto criticata sia all’estero sia in Germania, anche all’interno della sua coalizione.
Allineandosi senza esitazioni alla politica israeliana, Merz commette l’errore di piantare l’ultimo chiodo nella bara del diritto internazionale, proprio mentre l’Europa avrebbe tutto l’interesse a difenderlo. Con le sue parole, Merz ha contraddetto tutti i discorsi sulla violazione delle leggi internazionali da parte della Russia in Ucraina.
Il punto, qui, non è voler difendere il regime iraniano, che è indifendibile. Si tratta invece di una questione di principio, che riguarda il modo di gestire il conflitto, se con la forza o basandosi sul diritto.
La situazione sembra tanto più assurda se consideriamo che il 20 giugno la Germania partecipa insieme alla Francia e al Regno Unito a un tentativo di salvare la via diplomatica dialogando con il ministro degli esteri iraniano. L’obiettivo è quello di mettere fine a un conflitto che sta provocando vittime civili su entrambi i fronti e rischia d’incendiare la regione.
Pur non essendo caricaturale come quella di Merz, la posizione francese contiene diverse ambiguità. In un primo momento Emmanuel Macron ha inserito l’attacco di Israele nella categoria della “legittima difesa”, come aveva fatto dopo l’attacco del 7 ottobre compiuto da Hamas. L’impressione è che Parigi, dopo aver assunto posizioni critiche nei confronti di Israele su Gaza e della tragedia dei palestinesi, abbia voluto riequilibrare la propria posizione. Da allora il presidente francese ha smorzato i toni, condannando qualsiasi prospettiva di cambio di regime con la forza. Oggi Macron cerca di rilanciare la diplomazia.
Il problema, in ogni caso, è mondiale. Gli europei sono accusati di adottare “due pesi e due misure”, sventolando il diritto internazionale nel caso dell’Ucraina ma non in Medio Oriente.
Incapace di mostrare chiarezza e princìpi saldi, l’Europa si sta dando la zappa sui piedi per l’ennesima volta, quando invece dovrebbe essere un esempio, soprattutto davanti a un’amministrazione statunitense imprevedibile che si affida solo alla legge del più forte.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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