La sorpresa non sono i bombardamenti in sé – sono anni che Israele pianifica un’operazione del genere –, ma il momento in cui sono avvenuti. L’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff, vicino a Trump, avrebbe dovuto incontrare domenica in Oman il ministro degli affari esteri iraniano, Abbas Araghchi. Un’ultima occasione per concludere un nuovo accordo sul nucleare. Le informazioni delle ultime ventiquattr’ore su un possibile attacco israeliano sembravano mettere sotto pressione Teheran alla vigilia di questo appuntamento.
Mentre tutti nella regione si preparano alla risposta iraniana, si pone la questione del ruolo degli Stati Uniti. Il segretario di stato americano Marco Rubio ha immediatamente dichiarato che Washington non è coinvolta nell’attacco israeliano, che ha definito “unilaterale”. Ma questa dichiarazione sembra soprattutto voler proteggere le forze statunitensi nella regione da possibili ritorsioni iraniane.
È molto improbabile che Israele si sia lanciato in questa operazione rischiosa contro le infrastrutture militari e nucleari iraniane senza il via libera, almeno tacito, della Casa Bianca.
Bisogna tornare indietro per capirlo: durante i due brevi confronti tra Iran e Israele dell’anno scorso, l’amministrazione Biden aveva vietato a Israele di colpire le infrastrutture nucleari e petrolifere iraniane. Israele ha bisogno dei servizi di intelligence e del sostegno statunitense per operazioni di questo tipo.
Con il ritorno di Donald Trump, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rilanciato il suo progetto di distruzione del programma nucleare iraniano. Ma il presidente statunitense ha inizialmente scelto di aprire una trattativa con Teheran, con grande disappunto di Israele. I negoziati si sono arenati sul principale punto di disaccordo: la richiesta statunitense di fermare l’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran, che ha risposto no.
Ieri l’agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite per la prima volta in vent’anni ha accusato l’Iran di non rispettare i suoi obblighi sul nucleare. In parole povere, l’Iran arricchisce l’uranio a un livello che permette di fabbricare l’arma atomica. Israele afferma di aver mostrato agli statunitensi la prova che l’Iran è sul punto di raggiungere la soglia nucleare, cosa che Trump vuole assolutamente evitare durante il suo mandato. Nel 2018 aveva fatto saltare l’accordo con Teheran senza aver trovato un’alternativa.
I raid israeliani questa volta sono stati significativi. Hanno colpito sia persone – come il capo dei Guardiani della rivoluzione, il generale Hossein Salami, ucciso questa notte, e scienziati del programma nucleare – sia centri per l’arricchimento dell’uranio conosciuti, come quello di Natanz, a 250 chilometri da Teheran.
L’Iran non può non rispondere, ma tutto dipenderà dagli obiettivi che sceglierà. Se attaccherà le basi statunitensi in Iraq e nel Golfo, oppure le infrastrutture petrolifere saudite o emiratine, si entrerà in un’escalation che non si fermerà. L’alternativa sarebbe una risposta simbolica, per limitare i danni e salvare la faccia del regime. In questo caso, Israele potrà ritenersi soddisfatto di aver guadagnato tempo e rimandato la possibilità che l’Iran abbia il nucleare.
Mentre Gaza continua a essere sotto il fuoco israeliano, l’apertura di un fronte con l’Iran dimostra che la logica della guerra resta la norma in Medio Oriente. Israele ha la superiorità militare e lo dimostra, con il rischio di portare avanti una guerra perpetua.
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