Da mesi Israele e chi lo difende affermano che Hamas ruba gli aiuti umanitari. Hanno usato questa accusa per giustificare la fame imposta a due milioni di persone a Gaza, per bombardare i forni, bloccare i convogli umanitari e sparare ai palestinesi disperati in fila per il pane. Ci hanno detto che questa è una guerra contro Hamas e che i palestinesi comuni sono stati solo presi nel mezzo.

Ora sappiamo la verità: Israele ha armato e protetto alcune bande criminali a Gaza che rubano gli aiuti e terrorizzano i civili. Un gruppo guidato da Yasser Abu Shabab, che sarebbe legato a reti estremiste e coinvolto in attività criminali, riceve armi direttamente dal governo di Benjamin Netanyahu. E il primo ministro israeliano lo ammette con orgoglio: “Cosa c’è di sbagliato? Così si salvano le vite dei soldati israeliani”. Cosa c’è di sbagliato? Tutto. Israele non ha mai voluto proteggere la popolazione palestinese. Vuole spezzarla. Affamarla. Mettere uno contro l’altro. E poi incolparla del caos e delle sofferenze che ne derivano. Questa strategia non è nuova. È l’abc del colonialismo: creare l’anarchia, poi usarla come prova che i colonizzati non possono governarsi da soli. Israele vuole distruggere qualsiasi futuro per l’autodeterminazione dei palestinesi. Le Nazioni Unite hanno sottolineato più volte la mancanza di prove che Hamas rubasse gli aiuti. Ma non importava. La storia è servita al suo scopo: ha giustificato il blocco. Ha fatto apparire la carestia imposta come una tattica per la sicurezza, e la punizione collettiva come una linea politica. Ora la verità è venuta a galla. Ma dov’è l’indignazione? Dove sono le condanne di Washington e Londra, che dicevano di avere a cuore gli aiuti umanitari?

L’ammissione di Netanyahu non è solo frutto di arroganza. Dimostra quanto sia sicuro di sé. Sa che Israele può violare il diritto internazionale, armare bande criminali e continuare a essere il benvenuto sul palcoscenico mondiale e a ricevere armi. Questo vuol dire impunità totale. È il prezzo che si paga quando si crede alla macchina delle pubbliche relazioni di Israele, quando gli si permette di presentarsi come un occupante controvoglia, un esercito umano, una vittima delle circostanze. In realtà è un regime che non solo tollera i crimini di guerra, li progetta, li finanzia e poi li usa come propaganda. Non è solo una guerra contro la sopravvivenza dei palestinesi. È una guerra contro il loro sogno di avere uno stato e costruire un futuro di dignità e autodeterminazione.

Dividere e indebolire

Da decenni Israele lavora per impedire qualsiasi forma di unità della dirigenza palestinese. Negli anni ottanta ha segretamente incoraggiato l’ascesa di Hamas come contrappeso religioso e sociale alla laica Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). L’idea era semplice: dividere la politica palestinese, indebolire il movimento nazionale e disperdere qualunque spinta verso la creazione di uno stato.

I funzionari israeliani ritenevano che sostenere le organizzazioni islamiste nella Cisgiordania occupata e a Gaza avrebbe creato un conflitto interno tra palestinesi; e così è stato. Le tensioni tra gruppi islamisti e laici sono aumentate, provocando scontri nelle università e in politica. Israele sapeva che rafforzando i rivali dell’Olp avrebbe rotto l’unità palestinese. L’obiettivo non era la pace, era la paralisi. Questa strategia continua oggi, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania. Il governo israeliano sta smantellando la capacità di azione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Trattiene le entrate fiscali che costituiscono la gran parte del suo bilancio, portandola sull’orlo del collasso. Protegge le milizie di coloni che attaccano i villaggi palestinesi. Compie incursioni quotidiane nelle città amministrate dall’Anp, umiliando le sue forze di sicurezza. Blocca gli sforzi diplomatici internazionali dell’Anp ridicolizzandone la legittimità.

Ultime notizie

◆ Il 10 giugno 2025 una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha stabilito che gli attacchi israeliani contro scuole e siti religiosi e culturali nella Striscia di Gaza costituiscono crimini di guerra e il crimine contro l’umanità di “sterminio”. Lo stesso giorno Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Norvegia hanno imposto sanzioni a due ministri israeliani di estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, accusati di istigare la violenza contro le comunità di palestinesi in Cisgiordania. Afp


E questa politica non si ferma ai confini dei territori occupati. Dentro Israele i cittadini palestinesi subiscono una tattica simile: abbandono, impoverimento e caos pianificato. Nelle loro comunità si lascia imperversare il crimine mentre le infrastrutture e i servizi sono sottofinanziati. Il loro potenziale economico è soffocato. È una strategia di cancellazione che mira a trasformare i palestinesi in una minoranza silenziosa e senza volto, senza diritti, riconoscimento e nazionalità.

Producendo instabilità e additandola come dimostrazione di un fallimento, Israele scrive il copione e dà a noi la colpa di viverlo. Non è solo una politica militare, è una guerra di propaganda. Consiste nel fare in modo che quello palestinese sia considerato non un popolo in lotta per la libertà, ma una minaccia da contenere. Israele prospera sul caos, perché il caos scredita la capacità di agire dei palestinesi. Permette a Israele di dire “guardate, non sanno governarsi da soli. Capiscono solo la violenza. Hanno bisogno di noi”. Ma Gaza e la Cisgiordania non sono uno stato fallito. Sono luoghi a cui è stata negata la possibilità di diventare uno stato.

Se il governo di Netanyahu può ammettere di armare bande criminali senza subire conseguenze, allora il problema non è solo Israele. Siamo noi, la cosiddetta comunità internazionale, che premia la crudeltà e punisce la sopravvivenza. Servono azioni per proteggere le vite dei palestinesi e tutelare il loro diritto all’autodeterminazione prima che sia cancellato. Minacciare Israele di riconoscere uno stato palestinese, come hanno fatto alcuni leader europei, non serve a nulla. Se il mondo continuerà a girarsi dall’altra parte, non sarà solo la Palestina a essere distrutta, ma anche la credibilità del diritto internazionale e di qualsiasi principio morale dichiariamo di sostenere. ◆ fdl

Ahmed Najar è un analista politico e drammaturgo originario di Gaza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati