L’esercizio è necessario, ma anche impossibile. Sappiamo bene che in un paese democratico è indispensabile discutere di guerra e pace, di questioni di bilancio e di grandi argomenti diplomatici. Questo dialogo è tanto più importante in un momento segnato da tendenze globali preoccupanti e dall’intensificarsi delle tensioni internazionali.

Eppure il tentativo fatto la sera del 13 maggio dal presidente francese Emmanuel Macron, che in tv ha affrontato il tema dell’Ucraina e le questioni legate alla difesa, è complicato dalle necessità contraddittorie del momento. I cittadini percepiscono le minacce e la necessità di prepararsi, ma al contempo non vogliono sacrificare la spesa sociale e gli investimenti che sono già considerati insufficienti.

L’esempio migliore è arrivato da un giornalista che ha sottolineato come la Corea del Nord abbia consegnato più munizioni alla Russia di quante ne abbia donate tutta l’Europa all’Ucraina. È vero, ma anche la risposta del presidente è calzante: chi vorrebbe vivere come in Corea del Nord, dove il bilancio per la difesa ammonta al 45 per cento delle risorse del paese e dove la sanità e l’istruzione raccolgono le briciole? Per non parlare delle libertà personali. La verità è che bisogna convivere con le contraddizioni.

Fin dalle sue prime parole, Macron ha cercato di indirizzare il dibattito verso il terreno delle libertà. Restare liberi “è la sfida delle sfide”, ha ripetuto il presidente.

Tre anni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la maggior parte dei francesi e degli europei è ancora solidale con Kiev e con la lotta degli ucraini. Ma davvero in Europa occidentale la minaccia che incombe sulle nostre libertà è percepibile e condivisa? Ecco un’altra contraddizione che il discorso politico non riesce a conciliare.

Il futuro dell’Europa tra democrazia e populismo
Il futuro del continente è quello basato sull’unione e sulla difesa dei propri valori o quello della divisione in nome della demagogia e dell’estremismo? Ci sono esempi in entrambe le direzioni.

Il sentimento popolare e le domande dei giornalisti vertono attorno a questo dilemma: facciamo troppo o troppo poco per l’Ucraina? Stiamo spendendo troppo o dovremmo utilizzare ogni risorsa per bloccare la minaccia russa? Non è detto che le parole del presidente riescano a dare una risposta, soprattutto considerando che l’agenda nazionale è piena di necessità contraddittorie.

La dissuasione nucleare è l’argomento su cui il capo dello stato francese è stato più preciso. Doveva esserlo, perché il rischio dell’ambiguità necessaria nelle questioni strategiche è proprio quello di essere ambigui.

Il dibattito pubblico sulla possibile dimensione europea della dissuasione francese, l’unica potenza atomica all’interno dell’Unione, è stato avviato. Oggi gli altri paesi si affidano all’ombrello nucleare statunitense nel quadro della Nato. Una formula che però sta evidenziando tutti i suoi limiti con Donald Trump.

Macron ha precisato tre punti fondamentali: prima di tutto, la Francia non finanzierà da sola l’estensione all’Europa della sua dissuasione nucleare. In secondo luogo, qualsiasi sforzo dell’Unione non corrisponderà a una sottrazione di quello che viene fatto per la difesa francese. Infine, non ci sarà alcuna condivisione delle decisioni, che resteranno una prerogativa del presidente francese.

François Hollande, predecessore di Macron alla guida del paese, ha osservato recentemente che questi problemi, piuttosto astratti in passato, oggi sono assolutamente reali, e che la scelta elettorale del 2027, data delle prossime presidenziali in Francia, sarà anche quella della persona che avrà accesso al bottone nucleare. Un dibattito pubblico è indispensabile, malgrado la difficoltà dell’esercizio: questa è la grandezza ma anche la schiavitù della democrazia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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