Oggi emerge un’immagine rassicurante dell’Europa. È quella di Friedrich Merz, nuovo cancelliere della Germania, che la sera della sua vittoria elettorale aveva dichiarato che il suo paese avrebbe dovuto essere “indipendente dagli Stati Uniti”. Domani Merz sarà a Parigi, in Francia, e poi a Varsavia, in Polonia. Un progetto per l’Unione comincia a delinearsi davanti al tornado Trump e alle altre sfide di questo momento storico.
C’è però immagine che intacca questa armonia. È quella dei successi elettorali delle forze populiste ispirate al trumpismo, o sensibili alle sirene di Putin. Nel Regno Unito c’è il grande risultato ottenuto alle elezioni locali dall’inossidabile Nigel Farage: l’uomo della Brexit, una sorta di mini Trump britannico. Il suo partito, Reform UK, è diventato di fatto la prima forza politica d’opposizione del paese, uscito dall’Unione europea ma ancora fondamentale per costruire una difesa indipendente del continente.
C’è poi l’ascesa spettacolare del candidato dell’estrema destra George Simion al primo turno delle elezioni presidenziali in Romania, con buone possibilità di affermarsi al secondo scrutinio, il 18 maggio. Candidato “Trump-compatibile”, Simion ha migliorato il risultato ottenuto da un altro leader dell’estrema destra, Călin Georgescu, in un’elezione però annullata lo scorso autunno per sospetti di manipolazioni russe attraverso TikTok.
Da queste tendenze contraddittorie emergono due lezioni. La prima è che l’effetto Trump non è univoco. Da un lato l’incombente figura del presidente statunitense ha permesso la vittoria liberale in Canada e quella laburista in Australia. Paesi in cui l’aggressività delle sue politiche ha provocato una reazione degli elettori. Dall’altro, però, non ha scoraggiato i sostenitori dei candidati demagogici come Farage o complottisti come Simion.
Il futuro dell’Europa è quello rappresentato da Merz o da Simion? È nell’unità e nei suoi valori davanti alla deriva trumpiana o nella divisione e nel vassallaggio sotto Mosca o Washington, a seconda delle situazioni?
La seconda lezione che possiamo trarre dalle tendenze attuali è che i leader europei, capaci di mobilitarsi non appena sono arrivati i primi segnali ostili da Washington, non hanno alcun margine d’errore.
L’asse europeo liberale che si costruisce tra Parigi, Berlino e Varsavia (a cui bisogna aggiungere Londra sulla difesa), simboleggiato dalla visita lampo di Merz, incarna un modello anti-Trump realistico. Il trattato franco-polacco che sarà firmato il 7 maggio a Nancy completa il quadro, con un’importante parte nel campo della difesa.
Questo sussulto sarà messo alla prova presto e, prima di tutto, dovrà preparare l’Europa alla sua difesa senza gli Stati Uniti. Un problema che l’Unione non ha saputo affrontare negli ultimi anni. Inoltre, dovrà rispondere alle sfide economiche e tecnologiche evidenziate di recente dal rapporto di Mario Draghi, che ha lanciato l’allarme contro il rischio di stallo a cui va incontro il continente.
Rassicurare, difendere e sviluppare senza cedere sul modello sociale e ambientale europeo: è una missione colossale, soprattutto se si considera che l’estrema destra e i populisti sono in crescita ovunque. Perfino in Germania, dove l’AfD ha ottenuto un risultato storico.
Per trasformare l’Europa nell’ultimo bastione della democrazia liberale bisognerà convincere gli elettori che ne vale la pena. E non sarà facile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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