Il 22 settembre ricorre l’equinozio d’autunno, che nell’emisfero settentrionale segna l’inizio di un semestre buio, in cui le notti sono più lunghe dei giorni. Nei prossimi mesi milioni di persone del Nordeuropa si precipiteranno verso le spiagge dei Caraibi o dell’Africa del nord alla ricerca di un po’ di sole.

Probabilmente i loro medici preferirebbero che restassero a casa. Oltre a far invecchiare la pelle in anticipo, i raggi ultravioletti (Uv) danneggiano il dna. Facendo così crescere il rischio di tumori cutanei, la cui incidenza a livello mondiale sta aumentando in modo costante. Anche se una moderata quantità di luce solare è necessaria per produrre la vitamina D, la stessa sostanza può essere ottenuta attraverso il cibo o gli integratori. È per questo che negli ultimi decenni le campagne di sensibilizzazione per la salute si sono concentrate sulla necessità di evitare il sole coprendosi, stando all’ombra o usando creme protettive.

Tuttavia, potrebbe essere arrivato il momento di rivedere la severità di questo consiglio, almeno per quanto riguarda le decine di paesi tendenzialmente piovosi che si trovano ad alte latitudini. Una quantità sempre maggiore di ricerche, infatti, suggerisce che i benefici dell’esposizione al sole vadano ben oltre quelli offerti dalla vitamina D. I suoi raggi, a quanto pare, proteggono dal rischio di disturbi cardiaci, tumori e malattie autoimmuni.

Il corso dell’evoluzione

Uno studio pubblicato nel 2024, per esempio, ha esaminato i dati relativi a 360mila britannici con la pelle chiara, riscontrando che una maggiore esposizione ai raggi Uv era collegata a una diminuzione del rischio di morte del 15 per cento per chi usava regolarmente i lettini per abbronzarsi e del 12 per cento per chi viveva nel sud del paese, più soleggiato rispetto al nord. La stima finale ha tenuto conto anche dell’aumento del rischio relativo ai tumori della pelle.

Questi dati sono in linea con i risultati di un altro ampio studio pubblicato dieci anni fa. Condotto da Pelle Lindqvist, epidemiologo dell’istituto Karolinska di Stoccolma, in Svezia, aveva seguito trentamila donne svedesi per vent’anni. E aveva rilevato che tenendo conto di fattori come l’età, la condizione economica e la salute, una maggiore esposizione al sole corrispondeva a una diminuzione delle probabilità di morte. Tra le persone che si erano esposte di più il rischio di morte si dimezzava rispetto a quelle che si erano esposte di meno.

“In generale possiamo affermare che i benefici della luce del sole superano i rischi, purché si evitino le scottature”, riassume Richard Weller, dermatologo dell’università di Edimburgo e uno degli autori dello studio britannico. Lindqvist e Weller fanno parte dei 17 esperti che a giugno hanno pubblicato un’analisi di diversi studi in cui invitano le istituzioni sanitarie a prestare maggiore attenzione alle prove sempre più solide degli effetti positivi dei raggi Uv.

La storia dell’evoluzione umana suggerisce chiaramente che l’esposizione al sole abbia conseguenze positive. In Africa i primi esseri umani senza peli avevano alti livelli di melanina, che protegge la pelle dagli effetti dannosi dei raggi Uv sul dna. Quando gli umani sono migrati verso nord, dove il sole era meno forte, i loro livelli di melanina si sono ridotti, permettendo l’assorbimento di maggiori quantità di raggi Uv.

La pelle chiara si è evoluta almeno due volte, la prima tra gli europei moderni e la seconda tra gli asiatici dell’est. La pressione evolutiva che ha portato a questo cambiamento è tra le più forti rilevate nel genoma umano, spiega David Whiteman, specialista di tumori cutanei del Qimr Berghofer medical research institute di Brisbane, in Australia. Tutto questo lascia pensare che i raggi Uv abbiano una funzione importante nella biologia umana e che assorbirne troppi, o troppo pochi, non faccia bene.

La vitamina D

Uno dei vantaggi offerti dalla luce solare è molto noto. Il corpo umano, infatti, ha bisogno di raggi Uv per produrre vitamina D, la cui carenza può causare un indebolimento delle ossa e deformazioni dello scheletro nei bambini. Alti livelli di vitamina D nel sangue sono associati a diversi effetti benefici, da un rafforzamento dell’apparato circolatorio a una riduzione del rischio di cancro. Tuttavia, Amaya Virós, esperta di tumori della pelle dell’università di Manchester, nel Regno Unito, sottolinea che diversi studi sugli effetti degli integratori contenenti vitamina D sono arrivati a risultati deludenti. (Nel 2022 un editoriale pubblicato dal New England Journal of Medicine sosteneva che alla luce di queste scoperte, i medici avrebbero fatto meglio a smettere di raccomandare ai loro pazienti di assumere gli integratori a base di vitamina D).

Alcuni ricercatori ipotizzano che l’associazione tra la vitamina D e la buona salute nasca in realtà da altri fenomeni chimici influenzati dai raggi solari. I candidati non mancano: la luce del sole sembra influenzare l’espressione di molti geni diversi. Un meccanismo che ha attirato particolarmente l’attenzione coinvolge il monossido di azoto, una molecola segnale che tra le altre cose rilassa i vasi circolatori e riduce la pressione sanguigna.

Nel 2009 un gruppo di scienziati tedeschi ha dimostrato che i raggi solari trasformano i composti chimici contenuti nella pelle in monossido di azoto, che successivamente finisce nel sangue. Durante le loro ricerche, gli scienziati hanno verificato che l’esposizione di tutto il corpo alla luce del sole provocava un rapido e significativo calo della pressione.

Questo fenomeno risulta particolarmente interessante tenuto conto dei dati secondo cui la pressione sanguigna tende ad aumentare mano a mano che ci si allontana dall’equatore. Una ricerca del 2017 ha rilevato un incremento di circa 5 millimetri di mercurio (unità con cui è misurata la pressione sanguigna) ogni mille chilometri di distanza dall’equatore.

L’ipertensione è un fattore di rischio importante per le malattie cardiovascolari. Nei paesi che si trovano ad alte latitudini il tasso di mortalità per disturbi cardiaci evidenzia un chiaro andamento stagionale: è più alto in inverno e più basso in estate. Il fenomeno è legato in parte alle basse temperature e ai cambiamenti nella dieta, ma alcuni ricercatori sono convinti che anche la mancanza di sole abbia un effetto importante.

Gli effetti sul sistema immunitario

Un’altra pista affascinante riguarda gli effetti dei raggi Uv sul sistema immunitario. Per quanto riguarda la sclerosi multipla, i raggi solari sembrano offrire un certo sollievo (al pari dell’ipertensione, la sclerosi multipla sembra essere più diffusa alle alte latitudini). Alcuni scienziati stanno verificando la possibilità che gli effetti dei raggi Uv sul sistema immunitario possano migliorarne la capacità di contrastare i tumori.

In una ricerca che non è stata ancora pubblicata, Virós e Weller hanno studiato sia negli esseri umani sia nei topi un meccanismo immunitario specifico (non legato alla vitamina D) che potrebbe ridurre il rischio che un tumore si diffonda in altre parti del corpo.

Altri studi hanno riscontrato un legame tra l’esposizione al sole e la bassa incidenza di diabete (con prove raccolte tra i topi che coinvolgono il monossido d’azoto).

Un’esposizione al sole insufficiente sembra essere uno dei principali motivi per cui in alcune città asiatiche più dell’80 per cento degli adolescenti ha bisogno di occhiali. La luce intensa, particolarmente difficile da riprodurre al chiuso, sembra infatti essere fondamentale per il corretto sviluppo degli occhi dei bambini.

Tutto questo ha spinto un gruppo di ricercatori a chiedere una modifica delle linee guida sanitarie per ammorbidire il consiglio di evitare l’esposizione al sole, oltre a ricordare che i rischi e i benefici della luce solare variano a seconda della tonalità del colore della pelle. “Non si può sostenere che una persona di origine africana corra gli stessi rischi di una persona di origini scozzesi”, sottolinea Virós. Nel Regno Unito le malattie cardiovascolari uccidono molte più persone ogni anno (circa 170mila) rispetto ai tumori della pelle (appena tremila), spiega Weller.

Eppure non tutti sono così entusiasti. Gran parte delle nuove ricerche sugli effetti benfici della luce solare è stata condotta solo su persone dalla pelle chiara in paesi in cui la luce solare è poca. Secondo Whiteman, i risultati positivi rispetto alla pressione sanguigna e ai tumori sembrano biologicamente plausibili, ma la natura della ricerca epidemiologica non garantisce che i ricercatori abbiano davvero valutato altre spiegazioni. I meccanismi biologici alla base di molti degli apparenti legami tra luce solare e salute sono ancora sconosciuti o poco chiari. “Per il momento non credo che abbiamo trovato prove incontrovertibili”, ammette Whiteman. All’inizio del 2025 nel Regno Unito il National institute for health and care research ha stabilito che i dati scientifici non erano sufficienti per modificare il consiglio di evitare di esporsi alla luce solare intensa e diretta tra marzo e ottobre.

Ma altrove la situazione sta cambiando. In Australia vivono molte persone di origine europea che dal punto di vista evolutivo sono inadatte al clima del paese, ricorda Whiteman. Il risultato è una delle più elevate incidenze di tumori della pelle al mondo, motivo per cui le autorità australiane sono state tra le prime a diffondere gli allarmi e le raccomandazioni sull’esposizione ai raggi solari, che oggi sono molto diffusi. Nonostante questo, nel 2024 le autorità sanitarie australiane hanno modificato le loro linee guida, includendo i benefici della luce del sole e l’importanza del colore della pelle.

L’idea che la luce del sole comporti dei benefici, oltre che dei rischi, va maneggiata con cura, spiega Antony Young, dermatologo del King’s college di Londra, che sta comunque notando un cambiamento nel suo settore. “Nessuno dice che ci si dovrebbe scottare, ma alcuni miei colleghi che in passato non avevano mai consigliato l’esposizione intenzionale al sole stanno cominciando a ricredersi”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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