◆ Ci sono molti motivi per essere emozionati nell’andare a Ferrara. Il festival di Internazionale, le pedalate d’autunno in bicicletta, il Po morto, e poi la casa di Ludovico Ariosto. Ariosto ci si trovava benissimo e non chiedeva altro al suo duca che lasciarlo in città a coltivare i suoi amori: la poesia e l’Alessandra Benucci. Ma c’erano le guerre d’Italia, ci si doveva armare, occorreva tagliare la cultura e dunque il maggiore poeta di una delle corti più importanti d’Europa viene mandato a fare da governatore nell’oscura Garfagnana. Le lettere che scrive nell’esercizio delle sue funzioni sono dolenti tentativi di applicazione di giustizia e repulsione per il potere. Forse per questo nell’ Orlando furioso , un poema ambientato in epoca cavalleresca, compare con vistoso anacronismo il “maladetto abominoso ordigno”, l’arma che consente di uccidere vilmente protetti dalla distanza: l’archibugio. L’irruzione dell’arma da fuoco nella storia dell’umanità è come un nuovo peccato originale. Orlando prova a gettarlo nell’abisso, ma quello trova il modo di riemergere e diventa drone, missile ipersonico, bomba nucleare. In questi cinquecento anni ne abbiamo ammirato tutta l’abbagliante carriera che, se non interrotta, arriverà al fuoco d’artificio finale dell’ordigno immaginato da Italo Svevo, per il quale “la terra tornata in forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati