Come mai la presidente del consiglio Giorgia Meloni non sembra più essere molto considerata dagli alleati europei che discutono il futuro della guerra in Ucraina? Per la sua vicinanza a Donald Trump, certo, ma anche per una questione più concreta:
l’Italia non sta partecipando al riarmo europeo. Meloni ha scelto di non sfruttare la possibilità concessa dal piano Readiness 2030 (prima noto come Rearm Europe) di fare deficit fino all’1,5 per cento del pil per nuove spese militari. Dice che non vuole mettere a rischio la tenuta dei conti. Però, ha spiegato che l’Italia riuscirà comunque a raggiungere l’obiettivo chiesto dalla Nato di spendere il 2 per cento del pil nella difesa, e lo farà già nel 2025, invece che nel 2028. Ma come ci riuscirà senza fare altro deficit? La differenza è di quasi dieci miliardi. La soluzione di palazzo Chigi è in gran parte riclassificare spese che già sosteniamo – dalla guardia costiera all’agenzia per la cibersicurezza – come spese per la difesa. Un riarmo contabile che non aumenta la capacità d’intervento dell’Italia nei teatri di crisi. Invece di droni e carri armati potremo schierare al massimo i funzionari della ragioneria generale dello stato. Comprensibile che paesi come la Germania – che vogliono alzare l’obiettivo Nato dal 2 al 5 per cento – ci prendano poco sul serio. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati