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l presidente degli Stati Uniti Donald Trump e alcuni parlamentari del congresso vogliono rivitalizzare i cantieri navali statunitensi per competere con la Cina, di gran lunga leader mondiale del settore. Ma secondo alcuni esperti il progetto è destinato a fallire, e qualcuno più ottimista sostiene che potrebbe avere successo solo se Washington spenderà miliardi di dollari per anni.
Uno dei posti in cui i sogni marittimi di Trump potrebbero prendere forma o andare in frantumi è un cantiere navale di Filadelfia che nel 2024 è stato comprato dalla sudcoreana Hanwha. “L’industria navale negli Stati Uniti è pronta a farsi avanti”, ha dichiarato David Kim, amministratore delegato della Hanwha Philly Shipyard. Ma per farlo, ha aggiunto, il cantiere deve ricevere un flusso costante di ordini. La Casa Bianca dovrà incentivare con i sussidi l’acquisto di navi costruite negli Stati Uniti e allo stesso tempo penalizzare le compagnie che usano navi straniere nei porti statunitensi. Per questo ad aprile ha stabilito nuove regole che colpiscono le navi cinesi e prevedono l’obbligo che alcune navi commerciali siano costruite negli Stati Uniti. Al congresso i legislatori, sia repubblicani sia democratici, spingono per una legge che prevede sussidi significativi per l’industria navale statunitense.
Ma ci sono ancora molti ostacoli da superare. Il cantiere navale di Filadelfia non sarà in grado di accettare nuovi ordini prima del 2027, mentre gli altri cantieri statunitensi sono così ingolfati di ordini per la marina militare che non possono produrre navi commerciali. In generale ci vuole molto più tempo per costruire una nave negli Stati Uniti che in Asia, e il costo è quasi cinque volte più alto. Il cantiere di Filadelfia, spiega Kim, costruisce più o meno una nave e mezzo all’anno, mentre nelle strutture dalla Hanwha in Corea del Sud se ne costruisce più o meno una alla settimana. Tuttavia, aggiunge, l’azienda potrebbe fornire dei metodi, come la saldatura automatizzata, per velocizzare la produzione. Colin Grabow, vicedirettore dell’istituto di ricerca Cato institute, afferma che di fronte alla spinta a favore dei cantieri statunitensi ha avuto una preoccupata sensazione di déjà-vu. In passato gli sforzi del governo di incoraggiare il settore sono falliti, come nel caso del tentativo di produrre più navi commerciali a Filadelfia dopo che nel 1995 è stata chiusa la base navale nella città.
Crescita vertiginosa
Oltre che in Cina, le navi che trasportano merci verso o dagli Stati Uniti sono costruite in Giappone, Corea del Sud e altri paesi. Di solito appartengono a compagnie di navigazione globali, molte delle quali hanno sede in Europa e in Asia. Con la crescita vertiginosa della produzione di navi commerciali cinesi negli ultimi anni, però, Washington teme che Pechino stia conquistando un vantaggio strategico quasi inattaccabile: negli ultimi dieci anni i cantieri cinesi hanno prodotto 6.765 navi commerciali, quasi la metà della produzione globale.
Il Giappone ne ha costruite 3.130, la Corea del Sud 2.405 e gli Stati Uniti appena 37. Tra l’altro, le poche navi costruite negli Stati Uniti e che le compagnie di navigazione effettivamente comprano di solito trasportano merci solo tra porti statunitensi, perché in base al Jones act, una legge di più di cento anni fa, sono le uniche a poter servire queste tratte. Ma un ordine di tre navi container conformi al Jones act, stipulato dal precedente proprietario dei cantieri di Filadelfia, è costato 990 milioni di dollari. Secondo James Lightbourn, fondatore dell’azienda di consulenza Cavalier shipping, in Asia potrebbe costare 210 milioni.
Il congresso vuole affrontare il problema offrendo sussidi. L’obiettivo è inserire 250 navi costruite negli Stati Uniti con equipaggio statunitense in una “flotta commerciale strategica”. I legislatori sperano di garantire un flusso costante di ordini ai cantieri navali statunitensi e di aiutarli a crescere. Il senatore democratico Mark Kelly l’ha definito “lo sforzo più ambizioso di questa generazione nel rilancio dell’industria navale e del commercio marittimo statunitensi e nel contrasto del dominio cinese sugli oceani”. Secondo alcuni, invece, la legge offrirà solo sussidi infiniti a cantieri navali dai costi elevati. Sarebbe meglio, dicono, realizzare la flotta strategica con navi costruite solo in Giappone e in Corea del Sud, entrambi paesi alleati degli Stati Uniti.
I piani di Washington comprendono anche navi cisterna per il trasporto di gas naturale liquefatto (gnl), più difficili da costruire delle portacontainer. In base alle nuove norme, nel giro di alcuni anni una parte sempre più consistente di queste navi dovrà essere costruita negli Stati Uniti. La Hanwha ha prodotto duecento di queste imbarcazioni in Corea del Sud, e secondo Kim i moli vuoti del cantiere navale di Filadelfia sono abbastanza grandi da accogliere navi per il trasporto del gnl.
Tuttavia, anche se la Hanwha riuscisse a trasferire le sue competenze industriali negli Stati Uniti, potrebbe avere difficoltà a trovare manodopera specializzata. Kelly Whitaker, portavoce della Hanwha Philly, sta progettando di raddoppiare la manodopera di 1.500 dipendenti in meno di dieci anni. Nel 2026 vuole duplicare il numero dei corsi di apprendistato, per accogliere 240 apprendisti.
Ma quando i cantieri navali riescono ad assumere manodopera, devono stare attenti a non farsela sfuggire: perdono molti dei loro dipendenti entro il primo anno, spiega Brett Seidle, vicesegretario della marina. Per questo Washington vuole formare più marinai e la legge sulla navigazione prevede sussidi per favorire il ricorso a equipaggi statunitensi, che sono più costosi. Secondo Roland Rexha, della Marine engineers’ beneficial association, un sindacato degli ufficiali di marina statunitensi, “la Cina sovvenziona completamente la sua industria. Dobbiamo trovare un modo per rendere gli incentivi al trasporto commerciale il fulcro della rinascita del settore”.
Rexha afferma che fare l’ufficiale su una nave statunitense sulle tratte internazionali potrebbe essere una carriera soddisfacente, visto che la paga supera i duecentomila dollari all’anno e si può andare in pensione dopo vent’anni di lavoro. Anche se i marinai s’imbarcano ogni volta per periodi di tre mesi, aggiunge, poi possono restare a casa per pause di altri tre mesi, “durante i quali dedicarsi alla famiglia e ai figli”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati