Shrouq Aila
Hanno ucciso habibi
wetlands, 96 pagine, 15 euro

Anna Nadotti, che ha tradotto questo libro, me lo ha presentato come un esempio del fatto che la società civile può essere più solidale di qualsiasi istituzione politica: gran parte della filiera editoriale ha partecipato gratuitamente alla realizzazione di Hanno ucciso habibi, così che i proventi delle vendite siano interamente devoluti all’autrice. È un libricino che si dovrebbe leggere velocemente, eppure ci si ferma spesso, per prendere respiro dal dolore che trasuda, per prendere, almeno sulla pagina, una pausa dall’orrore che racconta. La giornalista palestinese Shrouq Aila apre la narrazione con il resoconto di quel che succede “nel sedicesimo giorno del genocidio”, quando due missili sorprendono una famiglia seduta insieme a colazione, mentre cerca di condividere anche la paura. Suo marito, il reporter Roshdi Sarraj, padre della loro figlia neonata, muore in quell’attacco. Si stima che più di 250 giornalisti siano morti a Gaza. Shrouq Aila non ci nasconde nulla: dettagli, attori, responsabili. Non ci risparmia neanche il trauma di una bambina nata durante un genocidio, che non conosce altro che quella realtà. Ogni fuga, riparo, aiuto, barlume di speranza e abisso di terrore sono raccontati con una precisione e una sensibilità che ci perseguitano oltre l’ultima frase, oltre una delle ultime domande: si può chiamare ancora libertà se arriva quando tutto è perduto? ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati