I cani sono esseri senzienti, capaci di pensiero e sentimenti? E i piccioni, le api, i lombrichi, le meduse? È probabile che la vostra risposta rifletta la tendenza umana ad attribuire la coscienza agli animali più familiari, considerati “superiori”, e dubitare che possa estendersi a quelli “inferiori” come gli invertebrati.
In realtà non si può stabilire con certezza se un altro essere vivente ha una forma di coscienza o no. “Vista la natura soggettiva dell’esperienza, non possiamo essere del tutto sicuri nemmeno riguardo agli altri esseri umani”, dice Jonathan Birch della London school of economics, autore del libro The edge of sentience.
Però possiamo cercare delle prove. Ma prima bisogna stabilire cosa s’intende con coscienza. Per farlo, spiega Birch, è utile seguire il pensiero del filosofo Herbert Feigl e suddividerla in tre livelli.
La più elementare è la senzienza, la semplice sensazione del momento presente che comprende la percezione del mondo circostante e di sensazioni più intime come dolore, piacere, eccitazione e noia. Poi c’è la sapienza, la capacità di riflettere sulle proprie esperienze e, per esempio, pensare: “Questo dolore è il peggiore che abbia mai provato”. L’ultimo livello, l’autocoscienza, è la consapevolezza di sé come essere con un passato, un futuro e una vita personale.
Gli studi sulla coscienza degli animali tendono a concentrarsi sulla senzienza. “Buona parte della ricerca si è occupata del dolore, ma ora si cominciano a studiare anche emozioni positive come la gioia”, dice Kristin Andrews della York university di Toronto, in Canada. Per esempio, dei pesci che provano dolore possono spostarsi in una parte della loro vasca in cui è stato disciolto un antidolorifico.
Un secondo tipo di prova della senzienza è legato al comportamento sociale. “Gli animali apprendono sapere e competenze osservando i loro simili”, commenta Andrews. Perfino gli insetti lo fanno. La drosofila capisce con chi accoppiarsi guardando altre drosofile che lo fanno.
Un’aberrazione occidentale
Fino a che punto certi animali siano consapevoli del loro contesto culturale è emerso da alcuni risultati sorprendenti, come la recente scoperta che i topi sembrano dare un “primo soccorso” ai compagni privi di sensi. I ricercatori hanno inoltre studiato la memoria episodica, cioè la capacità di rivivere esperienze passate (un segno di autoconsapevolezza), osservandola in diversi mammiferi, compresi ratti e scimpanzé, come pure in alcuni uccelli.
Anche se aumentano le prove che la senzienza è comune tra gli animali, non comprendiamo ancora i requisiti neurobiologici della coscienza. Alcuni studi sui mammiferi hanno individuato le regioni cerebrali coinvolte, dice Andrews, “ma non possiamo generalizzare ed estenderle a specie con strutture neurali molto diverse”. Gli insetti, per esempio, non hanno niente di simile a un cervello umano, eppure ci sono evidenze chiare del fatto che provano dolore, quindi sono senzienti.
Nel 2024 Andrews, Birch e altri scienziati hanno pubblicato la Dichiarazione di New York sulla coscienza degli animali, secondo cui esiste la “possibilità realistica di esperienza cosciente” perfino in molti invertebrati. Andrews si spinge oltre: per lui dovremmo partire dal presupposto che tutti gli animali sono coscienti.
La sua affermazione stravolge le ipotesi di tanti biologi, ma al resto di noi potrebbe non apparire così estrema. L’idea che gli animali siano automi insensibili è “un’aberrazione della scienza occidentale”, afferma Birch. “Le altre culture, e anche tanti occidentali al di fuori del mondo accademico, hanno sempre considerato gli animali come esseri senzienti”. ◆ sdf
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 126. Compra questo numero | Abbonati