È difficile smettere di pensare alla Bielorussia. L’idea che nel 2020 un bullo possa rifiutarsi di lasciare il potere è inconcepibile. Osservando la gente in piazza che chiede una vera democrazia si prova un moto di orgoglio per chi non vuole arrendersi e al tempo stesso di nausea per i manganelli della polizia che piovono addosso ai manifestanti disarmati. È difficile comprendere una realtà in cui due donne valide e appassionate competono per guidare la Nuova Zelanda mentre alle donne che fanno politica in Bielorussia viene intimato di “tornare in cucina”.
In un paese che ai neozelandesi appare un po’ più vicino è già tutto pronto per bollare come inaccettabile il risultato elettorale. Quando Donald Trump esagera il rischio di brogli e afferma che il voto postale è viziato, alimenta consapevolmente la sfiducia nel sistema democratico, che tra i suoi concittadini già vacilla. Se a questo si aggiungono la pandemia, la paranoia e le teorie del complotto, non c’è da stupirsi se viviamo in un mondo sempre più polarizzato.
Nel 2020, però, mentre intorno a noi il mondo cominciava a infiammarsi, i “kiwi” si sono uniti. Sono andati in massa a esercitare il diritto democratico votando in anticipo, e hanno messo in chiaro cosa si aspettano da una leader politica.
La presenza nel paese del partito Advance Nz e del Public party ha dimostrato che la Nuova Zelanda non è immune alle teorie del complotto né a un modo poco leale di fare politica, soprattutto in campagna elettorale. Ma la polarizzazione in questo paese non ha attecchito come nel resto del mondo. Nel suo discorso da vincitrice, Jacinda Ardern ha detto di voler governare per tutti i neozelandesi: “Viviamo in un mondo sempre più polarizzato, in cui un numero crescente di persone ha perso la capacità di mettersi nei panni degli altri. Spero che con queste elezioni la Nuova Zelanda abbia dimostrato che noi non siamo così, che come nazione siamo in grado di ascoltare e di discutere. Dopotutto siamo troppo piccoli per perdere di vista le posizioni degli altri. Non sempre le elezioni riescono a unire un popolo, ma questo non significa che debbano spaccarlo. E in tempi di crisi, credo che la Nuova Zelanda abbia dimostrato proprio questo”.
Rispetto reciproco
Lo abbiamo visto per tutta la durata della campagna elettorale, e ancora la sera delle elezioni. Questo non significa che nel corso della campagna non ci siano stati atteggiamenti spiacevoli, forzature nell’illustrare i dati sulle tasse o la povertà infantile e qualche commento rozzo. In larga misura, però, abbiamo visto un grande rispetto reciproco.
◆ Nel 2017 Jacinda Ardern era diventata la leader del Partito laburista da meno di 24 ore quando le chiesero se secondo lei una donna poteva conciliare un figlio e una carriera di successo. Tre anni dopo la domanda fa sorridere. Ardern non solo ha partorito da prima ministra in carica (grazie a un compagno che ha potuto stare a casa a occuparsi della figlia, sottolinea sempre lei: “Non voglio sembrare una superdonna, nessuno dovrebbe aspettarsi da una donna che sia una superdonna”), ma ha dovuto guidare la Nuova Zelanda attraverso tre anni tumultuosi. Figlia di genitori mormoni, un poliziotto e una cuoca, Ardern, nata nel 1980, cresce in piccoli centri rurali. Dopo la laurea in comunicazione politica e pubbliche relazioni, comincia a lavorare per la laburista Helen Clark, prima ministra. Nel 2006 entra nell’ufficio di gabinetto del premier britannico Tony Blair e due anni dopo torna in Nuova Zelanda ed è eletta in parlamento. La lotta alla povertà infantile e i diritti lgbt sono i temi su cui si spende da deputata. Nel marzo 2017 è eletta vicesegretaria del Partito laburista e sette settimane prima delle elezioni diventa leader del partito. I laburisti arrivano secondi alle elezioni, e Ardern forma un governo di minoranza con i Verdi e il partito nazionalista New Zealand first. La “Jacindamania” comincia a dilagare nel mondo e Ardern viene vista come l’alternativa progressista in un mondo dominato dalla destra populista. A marzo 2019 l’attentato di un suprematista bianco contro una moschea e un centro islamico provoca 51 morti e lascia il paese in stato di shock. Poco dopo Ardern fa approvare quasi all’unanimità una legge che vieta le armi semiautomatiche e i fucili d’assalto. In dicembre l’eruzione di un vulcano uccide 17 persone, e due mesi dopo arriva la pandemia. Bbc
Sia Ardern sia Collins si sono confrontate sulle scelte politiche e non sulle questioni personali, per quanto diversi fossero i loro punti di vista. Perfino Winston Peters, il leader del partito populista New Zealand first, e David Seymour, il leader del partito liberale Act, si sono comportanti in modo serio per tutta la durata della campagna.
Collins ha pronunciato con dignità e gentilezza il discorso con cui ammetteva la sconfitta: “È un risultato straordinario per il Partito laburista”. Invece di cercare scuse o dare colpe, ha fatto delle riflessioni. Ha ringraziato i sostenitori, i volontari, lo staff e i parlamentari per la loro lealtà e il duro lavoro e si è scusata con chi non tornerà in parlamento perché lei non è riuscita a ottenere i voti di cui il partito avrebbe avuto bisogno. “Anche se questa è una notte durissima per tutti noi e quella appena conclusa è stata una campagna molto difficile, tre anni passeranno in fretta. E a tutti voi dico: torneremo”. Parlando della sua vita fuori dal parlamento, Ardern ha detto di voler continuare a cambiare la politica: “Voglio che i giovani guardino questo posto e dicano ‘Voi potete fare cose positive, non c’è bisogno di lanciarsi il fango addosso’”. Negli Stati Uniti, durante il primo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden, di fango se n’è visto tantissimo. Quel dibattito ha fatto capire bene ai neozelandesi ciò che non vogliono diventare. A un certo punto dell’ultimo dibattito tra Collins e Ardern, è stato chiesto cosa avrebbero voluto dirsi. Potevano approfittarne, ma tutte e due hanno mostrato compassione ed empatia. Ardern ha ringraziato Collins per il suo discorso alla camera dopo l’attacco terroristico del 15 marzo 2019 contro una moschea e un centro islamico di Christchurch, definendolo sincero e autentico: “L’ho trovato molto efficace”. Collins ha riconosciuto l’impegno con cui Ardern ha svolto il suo incarico di prima ministra: “Chiunque diventi premier deve metterci anima e cuore. Jacinda l’ha fatto, e credo che questa sia una cosa ottima”.
È il genere di risposte che i neozelandesi si aspettavano dalle due leader di partito, ma non quello che ci si aspetterebbe da molti altri politici nel mondo. I neozelandesi pretendono di più dai loro politici, e ottengono di più. Hanno preteso di più all’indomani del 15 marzo e durante l’emergenza covid-19. Alle elezioni hanno preteso qualcosa di più delle divisioni e degli insulti, e continueranno a farlo. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati