Il presidente di Taiwan Lai Ching-te si è fatto riprendere mentre mangiava sorridente un piatto di sushi giapponese. L’ironia della scena è incomprensibile per chi non segue da vicino le questioni geopolitiche in questa parte dell’Asia orientale.

La tensione tra Giappone e Cina cresce da tre settimane, da quando la prima ministra giapponese Sanae Takaichi ha affermato che un attacco cinese contro Taiwan sarebbe una “minaccia esistenziale” per il Giappone e giustificherebbe un’azione militare. Secondo Pechino Takaichi “ha superato un limite a cui non avrebbe mai dovuto avvicinarsi”.

Il governo cinese per rappresaglia contro Tokyo ha annullato le visite dei turisti cinesi, cancellato le importazioni di frutti di mare giapponesi (ecco spiegato il video del presidente di Taiwan) e rifiutato categoricamente d’incontrare Takaichi al G20 dello scorso fine settimana.

La premier giapponese non ha voluto fare marcia indietro e ha piazzato dei missili su un’isola giapponese che si trova a meno di cento chilometri da Taiwan.

Il 24 novembre il presidente cinese Xi Jinping ha chiamato Donald Trump per parlare del Giappone e di Taiwan. Il presidente statunitense ha poi telefonato a Takaichi. Questa frenesia serve a impedire che la crisi degeneri, ma solleva diversi interrogativi.

Il ruolo di Trump

Taiwan è chiaramente un tema cruciale per Pechino. La Cina cerca di continuo di evitare che la vicenda diventi una questione internazionale, mantenendola nei confini della politica interna.

Nel suo resoconto della conversazione telefonica con Xi, Donald Trump si è limitato a commentare l’annuncio della sua visita di stato a Pechino ad aprile dell’anno prossimo, mentre il comunicato cinese ha citato Taiwan. A Taipei questo basta per alimentare la paura costante che gli Stati Uniti ritirino il loro sostegno all’isola e ai suoi 23 milioni di abitanti, soprattutto nel caso in cui Pechino dovesse offrire a Trump un grande accordo globale.

Il rischio è debole, perché la rivalità sinoamericana è profonda e gode di un appoggio bipartisan a Washington. Ma l’ambivalenza di Trump è preoccupante.

Nell’ipotesi peggiore il Giappone si troverebbe nella stessa posizione degli europei rispetto all’Ucraina, ovvero sarebbe costretto a sostituire gli statunitensi davanti all’egemonia crescente della Cina.

Tokyo sarebbe all’altezza di questo ruolo? È il dubbio suscitato dalle parole di Takaichi e dalla crisi attuale. La premier giapponese, ammiratrice di Margaret Thatcher, sostiene la revisione della costituzione pacifista del paese e il raddoppio delle spese per la difesa.

Takaichi ha accolto Trump durante il suo recente viaggio in Asia e si considera una convinta alleata degli Stati Uniti e della loro strategia di contenimento della Cina nel continente. Ma, se gli statunitensi si facessero da parte, il Giappone si troverebbe in prima linea contro una Cina che non concede nulla, sia per i fantasmi della seconda guerra mondiale sia per l’ostilità di Tokyo verso le ambizioni di Pechino.

Taiwan sarà ancora una volta il fattore decisivo. Il governo dell’isola ha appena annunciato lo stanziamento di 40 miliardi di dollari in più per le spese militari, un record. A Pechino non hanno nessuna intenzione di arretrare. Una serie telev®isiva che sta spopolando in Cina racconta la storia della più grande spia comunista a Taiwan dopo la fuga del leader nazionalista cinese Chiang Kai-shek sull’isola nel 1949. Alla fine la spia fu catturata, ma nella serie si vede scrivere con il sangue “Taiwan sarà riconquistata”. Questo è il clima del momento, non certo incline al compromesso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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