No, non è stato amore a prima vista. Ma tra Julius ed Elena è andato tutto liscio fin da subito. Nessun pregiudizio, nessuno stereotipo. Niente frasi come “respira piano e profondamente”, o esortazioni del tipo “cerca solo di concentrarti”. Certe espressioni lasciano il segno su chi soffre di un disturbo del linguaggio.
Julius balbetta da quando ha sei anni. Con il tempo ha imparato alcune tecniche per aggirare l’ostacolo ed è riuscito ad accettare la balbuzie, ma preferisce rimanere anonimo. Insegna in una scuola di programmazione nel centro di Monaco di Baviera, quindi le lezioni e i colloqui con i genitori sono all’ordine del giorno. E per Julius ogni conversazione, ogni telefonata, è ancora una fonte di stress.
Come ci si sente se il timore di parlare diventa una costante? E come influisce un disturbo della fluenza verbale sui giovani, quando aprirsi al confronto con gli altri è allo stesso tempo importante e difficile? Maria Mühlhans e Vincent Dullinger le conoscono fin troppo bene tutte queste paure e preoccupazioni. Anche in una grande città come Monaco le cose non sono facili per i giovani balbuzienti, racconta Julius, che appare piuttosto ansioso. E anche tra la generazione Z, considerata così illuminata, l’ignoranza è più diffusa della tolleranza.
Maria ha 24 anni e studia logopedia all’università Ludwig Maximilian di Monaco. In futuro vorrebbe aiutare altre persone con disturbi del linguaggio. La sua balbuzie, apparsa all’età di quattro anni, si manifesta a intermittenza, a volte il suo flusso verbale è regolare e scorrevole. Quando si blocca, il viso le si irrigidisce appena e guarda nervosamente di lato.
Maria parla in modo aperto e sincero delle sue esperienze, così come Vincent, 18 anni, che vuole diventare un tennista professionista. Per inseguire il suo obiettivo si allena più volte alla settimana e studia da casa. La sua balbuzie si nota a malapena. Racconta con un certo orgoglio come ha imparato a conviverci, ma quando si parla di situazioni potenzialmente imbarazzanti a scuola o con gli amici, si fa più ritroso. Il disagio che causa la balbuzie non è direttamente proporzionale al livello di gravità del disturbo. “Riconoscere che la balbuzie va oltre quello che si sente e tenere conto anche della dimensione interiore della persona sarebbe già un passo in avanti”, dice.
Perdita di controllo
Maria la descrive come qualcosa di opprimente. “Sembra di correre a tutta velocità contro una porta e di sperare che finalmente si apra”, dice. Vincent è infastidito soprattutto dalla perdita di controllo. “Balbettare è semplicemente uno schifo”, dice Julius, “non è affatto divertente sentirsi di colpo bloccati”. Parlare del suo vissuto gli costa un evidente sforzo, la balbuzie si fa più frequente, le pause più lunghe. Dice di aver avuto molti compagni di classe gentili, ma c’erano due ragazze che lo prendevano in giro.
Circa l’1 per cento della popolazione mondiale balbetta, ma nell’infanzia si arriva fino al 5 per cento. Gli uomini sono colpiti quattro volte più delle donne. L’Associazione delle società medico-scientifiche tedesche distingue tra balbuzie acquisita e balbuzie evolutiva. La prima è provocata, per esempio, da lesioni cerebrali o traumi psicologici, mentre la seconda si sviluppa senza una causa evidente o come conseguenza di malattie genetiche. La maggior parte delle persone balbetta senza una causa riconoscibile. Così come Julius, Maria e Vincent.
La maggior parte delle persone balbetta senza una causa riconoscibile
Anche se in Germania ci sono più di 830mila persone balbuzienti, trovare una terapia efficace sembra difficile. Anche Julius ha vissuto un’odissea terapeutica: “Sono stato da un paio di specialisti, ma non è servito a niente. Uno mi ha detto che dovevo andare in una scuola speciale perché non potevo partecipare alla normale vita scolastica. L’altro ha chiesto a mia madre di mettersi in un punto preciso della stanza affermando che la balbuzie si sarebbe interrotta grazie a uno spostamento delle linee di forza. Semplicemente un’idiozia”. In seguito a una terapia Maria ha sviluppato una sintomatologia associata, una sorta di tic. “Scandivo le sillabe con le dita colpendomi ripetutamente le ginocchia”, racconta.
Non sono molti i logopedisti che si concentrano su questo disturbo, conferma Georg Thum, responsabile di un centro di consulenza per la balbuzie presso il dipartimento di logopedia dell’università di Monaco. Ancora oggi si commette spesso l’errore di pensare che si possa guarire, dice Thum. Inoltre una buona terapia non può essere limitata all’apprendimento delle tecniche di fluenza del linguaggio, ma dovrebbe includere anche aspetti relativi alla qualità della vita, alla socialità e alla resilienza. E poi le tecniche non funzionano sempre. Per esempio per Maria è difficile applicarle se è stanca, se si trova in un ambiente troppo rumoroso, è nervosa o in preda all’agitazione.
Parlare del peso psicosociale è importante, ma è più difficile di quanto si pensi. “Non mi sono mai aperto, ho costruito un muro per nascondere la mia balbuzie”, dice Julius. Il suo disturbo ha messo in difficoltà anche i rapporti con i suoi amici. Pure Vincent ci è passato: “Quando finalmente gliene ho parlato, i miei amici sono stati davvero contenti, e per me è stata una liberazione”.
La cosa più utile, tuttavia, è confrontarsi con persone che hanno lo stesso disturbo, su questo sono tutti e tre d’accordo. Julius frequenta da tempo un gruppo di autoaiuto per giovani che balbettano, all’inizio come partecipante, ora organizza gli incontri. Per Vincent è stato importante confrontarsi con altri bambini balbuzienti in una terapia di gruppo. “Con loro non hai paura, perché sai che stanno vivendo la tua stessa situazione, puoi aprirti completamente”.
Circa il 75 per cento degli studenti che convive con la balbuzie la percepisce come un peso, afferma Georg Thum. I balbuzienti subiscono il bullismo tre volte di più dei non balbuzienti. La paura del rifiuto sociale è grande, considerando anche che i giovani sono sottoposti alla pressione di avere una vita ricca e completa, e di stringere legami importanti. Si tratta di aspettative elevate che per i balbuzienti possono diventare una sfida, se non proprio un punto di rottura.
A causa del suo impegno agonistico, Vincent frequenta una scuola online. Prima viveva nel terrore di essere interrogato: “Stavo seduto in classe sperando, ora dopo ora, di non essere chiamato. È una sensazione che ti logora se la vivi per dodici anni”. Spesso gli insegnanti sono in difficoltà con i bambini balbuzienti. La maggior parte non ha mai sentito parlare di regole come lasciare che la persona finisca la frase, non anticipare o suggerire le parole e mantenere sempre il contatto visivo. “Certi professori hanno perfino insinuato che fingessi di balbettare”, racconta Maria. Anche Julius ricorda una maestra che ha sempre “messo il dito nella piaga”.
Lati positivi
La paura del giudizio degli altri non è onnipresente per Maria, ma a volte prova un improvviso senso di vergogna, soprattutto se le sembra “di essere percepita come diversa”. A volte basta un’espressione vagamente irritata del panettiere al mattino. “Anche se può sembrare irrazionale, do importanza a quello che gli altri pensano di me”, ammette Julius. In passato Maria e Vincent non osavano ordinare da mangiare al ristorante per evitare i malintesi. Julius per esempio racconta che a volte gli rispondono in inglese pensando che non parli bene il tedesco.
Finora nessuno dei tre giovani ha subìto discriminazioni o aggressioni in strada. Solo a Maria è stato chiesto di non prendere gli ordini quando lavorava in un ristorante. “Pensa a come reagirebbero i clienti”, le aveva detto il suo capo di allora.
Accettare e tollerare la balbuzie, riguadagnare la fiducia in se stessi: sono questi gli obiettivi delle terapie riconosciute, come quella di Georg Thum o dell’istituto per la balbuzie di Kassel. “Mi ha davvero cambiato la vita”, dice Vincent.
Anche se la paura non è sparita del tutto, almeno non soffoca più nessuno dei tre. “Non importa se balbetto”, dice Maria. “Il semplice fatto di avere il coraggio di parlare è già un successo. Altrimenti vivrei in una prigione costruita da me stessa. Ogni situazione difficile per me è uno stimolo”.
E poi la balbuzie ha i suoi lati positivi. Per esempio le persone che balbettano sono spesso molto empatiche, perché sanno come ci si sente a essere oggetto di pregiudizio, e sono molto attente al linguaggio del corpo degli altri. La resilienza acquisita da Vincent gli è tornata utile anche nel tennis. E il dono più grande che la balbuzie ha fatto a Julius? La sua ragazza Elena. Anche lei balbetta, si sono conosciuti in un gruppo di autoaiuto. Altrimenti forse non l’avrebbe mai incontrata. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati