È il genere di viaggio che agita i diplomatici. Il 17 novembre, quando il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman arriverà a Washington, si parlerà di vendite di armi, di miliardi di dollari di contratti (anche per la famiglia Trump) e del conflitto israelo-palestinese. È il segno del ruolo indispensabile dell’Arabia Saudita sulla scena internazionale, anche al di là del Medio Oriente.
Nelle ultime 48 ore si sono moltiplicate le fughe di notizie. Per prima cosa abbiamo scoperto che gli Stati Uniti sono pronti a vendere ai sauditi gli F35, aerei da combattimento tra i più avanzati al mondo. Il problema è che Israele fa pressione affinché Washington pretenda in cambio da Riyadh il riconoscimento dello stato ebraico.
Poche ore dopo si è saputo che i sauditi hanno rassicurato l’Autorità palestinese sul fatto che non ci sarà alcun riconoscimento di Israele fino a quando il governo sarà in mano alla coalizione di estrema destra che nega i diritti dei palestinesi. Risposta indiretta di Tel Aviv: il 16 novembre il ministro della difesa Israel Katz ha diffuso un comunicato in cui ha garantito che non ci sarà mai uno stato palestinese.
Tutto questo mostra bene l’importanza della posizione saudita nella ricomposizione del Medio Oriente.
Gara d’influenze
Ci sono almeno due elementi da considerare in questa vicenda. Il primo è l’influenza che Israele e l’Arabia Saudita hanno sul presidente statunitense Donald Trump. In passato non c’erano dubbi sul fatto che Tel Aviv fosse la più influente alla Casa Bianca, ma a settembre Benjamin Netanyahu ha avuto una brutta sorpresa quando il suo raid militare in Qatar ha cambiato la situazione obbligandolo ad accelerare la fine dell’offensiva militare a Gaza.
Quello che vale per il Qatar lo è ancora di più per l’Arabia Saudita. Con le monarchie del Golfo, infatti, Trump ha tessuto legami personali e soprattutto economici. Nel fine settimana il New York Times ha rivelato l’esistenza di un progetto immobiliare gigantesco in Arabia Saudita con il coinvolgimento della Trump Organization, l’impresa di famiglia del presidente. A Washington Trump parlerà di questioni politiche e diplomatiche con Bin Salman, ma intanto la sua famiglia negozia contratti miliardari, in un conflitto di interessi che non sorprende più nessuno.
In questa gara d’influenze Israele ha meno argomenti delle famiglie reali del golfo Persico, un aspetto che ha un peso rilevante sul ruolo di Washington.
Il secondo elemento cruciale è la Palestina, perché il governo Netanyahu non vuole imposizioni sul futuro dei palestinesi. Una risoluzione statunitense in discussione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata modificata in seguito alle pressioni arabe e francesi in favore del diritto all’autodeterminazione per i palestinesi. Da lì è nato il comunicato di Katz che ha chiuso definitivamente la porta alla nascita di uno stato palestinese.
Tutto questo può sembrare irrilevante, considerando che sul campo i coloni continuano ad accanirsi sui palestinesi della Cisgiordania con violenza inaudita e che la Striscia di Gaza sembra aver subito una nuova divisione a lungo termine, con una metà in mano ad Hamas e l’altra metà sotto il controllo dell’esercito israeliano.
L’Arabia Saudita ha un peso sufficiente per impedire che Israele commetta l’irreparabile (l’annessione della Cisgiordania) ma questo non basta per produrre un accordo equo. È il motivo per cui il mondo intero osserverà con grande attenzione la visita di Bin Salman a Washington, riflesso del reale rapporto di forze in Medio Oriente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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