Il mondo dell’arte è in agitazione dopo che quattro importanti musei hanno deciso di rinviare al 2024 l’attesa retrospettiva del pittore modernista Philip Guston.
Secondo alcuni è un passo indietro necessario in un periodo di proteste per la giustizia razziale, secondo altri è un modo vigliacco di evitare il confronto con opere d’arte provocatorie. Per i quattro musei nell’attuale momento politico il motivo ricorrente nelle opere di Guston, ossia gli emaciati uomini con il cappuccio bianco del Ku klux klan (Kkk) in forma di vignetta, va ricontestualizzato.
La retrospettiva di Guston, la prima in quindici anni, si sarebbe dovuta inaugurare a giugno alla National gallery of art di Washington. Poi doveva spostarsi al Museum of fine arts di Houston e da lì andare alla Tate modern di Londra per approdare infine al Museum of fine arts di Boston.
Codardia e paternalismo
Intitolata Philip Guston now, l’esposizione doveva comprendere, almeno nell’allestimento della National gallery, 24 immagini che rievocano esplicitamente il Kkk e altre due in cui il richiamo è meno evidente, su un totale di circa 125 opere e 70 disegni. Appena la notizia della cancellazione ha cominciato a circolare, dal mondo dell’arte si è scatenata un’ondata di critiche. La figlia di Guston, Musa Mayer, che ha scritto una biografia del padre, si è detta dispiaciuta per la decisione e ha affermato che con le sue opere l’artista “ha osato mettere l’America bianca davanti a uno specchio”.
Darby English, docente di storia dell’arte all’università di Chicago ed ex curatore al Museum of modern art, ha definito la decisione “codarda” e “un insulto tanto all’arte quanto al pubblico”.
Mark Godfrey, curatore della Tate modern di Londra, ha pubblicato un feroce post su Instagram in cui bolla la decisione come “estremamente paternalistica” nei confronti del pubblico, dando per scontato che non sia in grado di capire e apprezzare le sfumature delle opere di Guston.
Tuttavia la National gallery aveva il sostegno del suo consiglio d’amministrazione, in cui siede anche Darren Walker, presidente della Ford foundation, gigante della filantropia. Walker ha affermato che, senza ulteriori ripensamenti, la mostra sarebbe sembrata “stonata”. “Chi critica questa decisione”, ha detto Walker, “non capisce che negli ultimi mesi il contesto statunitnese ha subìto una trasformazione profonda e sostanziale sui problemi posti da un immaginario incendiario e avvelenato dal razzismo nell’arte, a prescindere dal virtuosismo o dalle intenzioni dell’artista che la crea”.
In una dichiarazione congiunta i direttori dei quattro musei hanno spiegato che sono necessarie “ulteriori prospettive e voci” prima di inaugurare la mostra, un processo che “richiederà tempo”.
Tuttavia i curatori – Harry Cooper della National gallery, Alison de Lima Greene dell’Mfa di Houston, Godfrey della Tate modern e Kate Nesin dell’Mfa di Boston – avevano raccolto importanti contributi per il catalogo della mostra, già in vendita. A metà giugno, dopo l’uccisione di George Floyd, i curatori avevano rivisto e ampliato i pannelli a corredo della mostra e i materiali didattici.
A preoccupare era il modo in cui i dipinti di Guston sul Ku klux klan erano stati accolti nel 1970. La mostra avrebbe dovuto includere molti dipinti realizzati dall’artista tra il 1968 e il 1972, periodo in cui stava “sviluppando il suo nuovo vocabolario fatto di cappucci, libri, mattoni e scarpe”. Godfrey, della Tate modern, si è chiesto perché “le istituzioni, orgogliose di mettere il loro nome su un catalogo che in 26 diverse pagine riproduce dipinti in cui è protagonista il Ku klux klan, non si sentono abbastanza serene da esporre quelle opere nelle loro sale”. Mayer ha sottolineato che il padre veniva da una famiglia di ebrei ucraini, immigrati per fuggire alle persecuzioni, perciò “sapeva bene cosa fosse l’odio”.
“Il pericolo”, ha scritto, “non sta tanto nel guardare l’opera di Philip Guston, quanto nel distogliere lo sguardo”.
Guston, morto nel 1980 all’età di 66 anni, fu un esponente di spicco dell’espressionismo astratto fino alla svolta artistica, avvenuta durante la guerra del Vietnam e influenzata dai tumulti e dal dissenso sociale. Dopo aver definito l’arte astratta americana una “bugia” e una “falsità”, cominciò a realizzare dipinti in un cupo stile figurativo.
L’artista nero Trenton Doyle Hancock, autore per il catalogo di un saggio in cui analizza Drawing for conspirators, una delle opere di Guston in cui sono raffigurati uomini del Kkk, ha affermato in un’intervista che a suo avviso l’artista usava le figure con il cappuccio bianco come strumento per “coinvolgere l’America, il mondo dell’arte newyorkese e se stesso in un sistema che celebra gli orrori della supremazia bianca”.
Sulla difensiva
Negli ultimi anni spesso i musei d’arte hanno dovuto difendersi per aver scelto di esporre opere che ritraggono soggetti divisivi e violenze razziali. Nel 2017 il Whitney museum è finito nell’occhio del ciclone per Open casket, un dipinto che ritrae il corpo di Emmett Till, un adolescente nero linciato da due uomini bianchi in Mississippi nel 1955. Le critiche più accese dipendevano dal fatto che l’autrice, Dana Schutz, fosse bianca. Nello stesso anno il Walker art center di Minneapolis, dopo le proteste della comunità dei nativi ha rimosso un’opera dell’artista bianco Sam Durant intitolata Scaffold, una scultura simile a una forca che avrebbe dovuto commemorare sette esecuzioni, tra cui l’impiccagione di 38 dakota eseguita nel Minnesota nel 1862.
In estate il Museum of contemporary art di Cleveland ha annullato una mostra dei disegni dell’artista Shaun Leonardo, che ritraevano le uccisioni di ragazzi e uomini neri e ispanici da parte della polizia. Le opere avevano generato le proteste di diversi attivisti neri e di alcuni componenti del personale del museo.
La decisione di rinviare di quattro anni la mostra su Guston, quando i musei avevano ancora molto tempo per organizzare attività didattiche, di confronto e di dialogo, ha colpito molti artisti e curatori, che l’hanno intesa come un atto di autocensura. Ma sul rinvio o la cancellazione aleggia un altro dilemma: come fare ad accogliere le crescenti richieste di equità quando la crisi provocata dal covid-19 ha ridotto in modo sostanziale i fondi? L’Mfa di Boston ha licenziato più di cento dipendenti dall’inizio della pandemia e la Tate modern ha tagliato più di trecento posti di lavoro. La mostra su Guston, che già prima del 2020 avrebbe assorbito una percentuale sostanziosa del bilancio di qualsiasi museo, oggi pesa ancora di più. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati