Ricordo il momento in cui ho capito che il mio modo di insegnare agli studenti come usare l’intelligenza artificiale non stava funzionando. Lo scorso autunno, durante una riunione al campus della New York university ad Abu Dhabi, un professore di filosofia mi ha detto di aver provato una delle strategie che suggerivamo – spiegare ai ragazzi che l’ia poteva interferire con il loro apprendimento. Gli studenti avevano ascoltato educatamente, e poi molti di loro avevano comunque usato l’ia per scrivere i loro elaborati a casa. In particolare, ha sottolineato che “anche quelli più bravi”, che avevano sempre voglia di parlare delle loro letture in classe, usavano l’ia per evitare di lavorare al di fuori delle lezioni.
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Era una lamentela che avevo sentito più volte parlando con i docenti. Perfino alcuni degli studenti più interessati non si impegnavano più per capire cosa volevano dire. La nostra strategia dava per scontato che incoraggiare un uso attivo dell’ia – dicendo ai ragazzi che potevano usare software come ChatGpt per generare test di verifica, per interrogarsi, esplorare nuove idee o chiedere un parere – li avrebbe convinti a rinunciare a farne un uso pigro. Ma non era così.
Non possiamo semplicemente riprogettare i compiti che assegniamo per impedire un uso pigro dell’ia. Se permetti agli studenti di servirsene a patto di verificare quello che produce, possono generare anche la valutazione con l’ia. Se gli fornisci dei tutor ia addestrati solo per guidarli, possono comunque usare strumenti che forniscono loro le risposte. E i sistemi di rilevazione sono troppo inclini a produrre false accuse di imbrogli e troppo carenti nell’individuare testi leggermente modificati perché gli insegnanti possano fare affidamento su di loro. L’apprendimento è un cambiamento della memoria a lungo termine. Ora che lo sforzo mentale legato alla scrittura è in gran parte facoltativo, servono nuovi modi per ottenere l’impegno necessario ad apprendere. Questo significa abbandonare i compiti a casa e passare a prove scritte in classe, esami orali e altre valutazioni che richiedono agli studenti di dimostrare le proprie conoscenze in tempo reale.
Studenti e insegnanti sono scettici nei confronti di questi cambiamenti. Ma queste strategie non comportano una perdita di rigore. Rappresentano semplicemente un ritorno a un modello di istruzione superiore più antico e relazionale.
Parlare, ascoltare e leggere hanno fatto parte della cultura accademica fin dalle sue origini, ma i compiti scritti non erano previsti. Nelle prime università, che nacquero nelle città europee circa mille anni fa, i libri erano scarsi, i caratteri mobili ancora non esistevano e l’istruzione era basata sull’insegnamento e sugli esami orali. I professori leggevano agli studenti da un libro, in alcuni casi l’unica copia posseduta dall’università. A volte aggiungevano un commento, altre no. Alcuni studenti dovevano scrivere ciò che ascoltavano, altri semplicemente ascoltare. A volte scrivere era scoraggiato. Nel 1355 la facoltà di lettere dell’università di Parigi proibì ai docenti di tenere lezioni a un ritmo lento che avrebbe permesso agli studenti di trascrivere le loro parole.
Tracce di quell’antica cultura accademica sono ancora visibili nei programmi di dottorato, in cui si devono superare esami orali e discutere tesi a voce. Cambridge e Oxford non adottarono in modo significativo gli esami scritti fino al settecento e all’ottocento, cinque secoli dopo la loro fondazione. Il passaggio al lavoro scritto fu in parte una risposta all’insegnamento in campi sempre più tecnici, e in parte una soluzione che rendeva più facile insegnare a un maggior numero di studenti.
Il problema delle dimensioni
Le nostre tecniche attuali, che implicano contributi originali scritti dagli studenti, non fanno quindi parte di una tradizione antica. Nel corso degli anni l’idea di quali compiti dovevano essere orali e quali scritti è cambiata. E ora sta cambiando di nuovo, allontanandosi dagli elaborati e puntando su qualcosa di più interattivo.
Il ritorno all’esame orale è un segno di questa evoluzione, ma stanno tornando in auge anche altre vecchie pratiche di valutazione dell’apprendimento. Gli insegnanti possono coinvolgere gli studenti in conversazioni, interrogarli senza preavviso o invitarli a farsi domande a vicenda. Questo potrebbe significare proibire i telefoni in classe, perché molti usano ChatGpt anche durante le lezioni per generare risposte alle domande.
I docenti possono chiedere agli studenti di andare da loro durante il ricevimento per avere interazioni spontanee o assegnargli compiti che possono svolgere solo se hanno imparato la materia. Possiamo chiedere agli studenti di scrivere qualcosa in classe una settimana e rivederlo insieme la settimana successiva. Esistono anche strumenti per il monitoraggio a distanza o per bloccare i browser e impedire agli studenti di usare l’ia al di fuori della classe. Alcune scuole stanno costruendo aule senza internet per lo svolgimento degli esami. L’obiettivo è far sì che i ragazzi dimostrino ciò che hanno assimilato del loro studio.
C’è però il problema delle dimensioni. Nei corsi con centinaia di iscritti, la conversazione in classe è un’impresa impossibile. Potremmo dover fare più valutazioni in gruppi gestiti dagli assistenti o tenere sessioni di scrittura supervisionate e in presenza. Sono già stati pubblicati studi sulla fattibilità di esami orali su larga scala.
Ho parlato con centinaia di insegnanti nel corso degli anni, e a pochi di loro piace questo metodo. In parte per il fastidio che chiunque proverebbe se la propria routine lavorativa fosse modificata, e fosse costretto a rielaborare test e programmi. Ancora più importante, però, questo passaggio all’estemporaneità e alla valutazione orale significa perdere la capacità di dare agli studenti obiettivi moderatamente complessi con cui devono confrontarsi da soli. La valutazione estemporanea può essere vantaggiosa per gli studenti che sono bravi a pensare velocemente, non per quelli che sono bravi a farlo in modo approfondito. Le soluzioni medievali sono reazioni all’improvvisa comparsa dell’ia, un tentativo di insistere perché gli studenti facciano il loro lavoro senza aiuto.
Neanche ai ragazzi piacciono le nuove forme di valutazione. Un po’ è semplicemente il fastidio che chiunque proverebbe nel vedersi togliere uno strumento che fa risparmiare fatica. Ma alcuni potrebbero avere difficoltà con gli aspetti pratici del sistema. La generazione attuale non ha mai imparato a scrivere in corsivo ed è cresciuta digitando. Per molti gli esami in aula non sono un ritorno al passato, ma una cosa nuova e sconosciuta. Alcuni sono così dipendenti dall’ia che farne a meno li sconcerta. Gli studenti del primo anno di università hanno avuto accesso all’ia generativa per la maggior parte del liceo. Un collega mi ha raccontato che un ragazzo gli ha detto: “È come se volessero bocciarci in partenza”.
Senso di comunità
Naturalmente, non vogliamo che i nostri studenti falliscano, ma non vogliamo neanche che non imparino. Uno studente che copia e incolla un tema di storia è iscritto a un corso di copia e incolla, non di storia. Se i metodi di lavoro riducono lo sforzo mentale, dobbiamo in qualche modo reintrodurre quello sforzo.
ChatGpt è stato reso pubblico poco più di mille giorni fa. In questo breve lasso di tempo, è già diventato chiaro che l’arrivo di un software in grado di generare quantità illimitate di testo più o meno decente svaluterà molti tipi di scrittura. Ci sarà ancora un mercato per la qualità, proprio come c’è ancora un mercato per i film nonostante TikTok, ma per produrre testi ordinari ora servono molte meno competenze. Con l’automazione della scrittura commerciale, la scrittura universitaria tornerà al suo stato storico, con una maggiore enfasi sugli studenti che scrivono per memorizzare le cose piuttosto che per creare un testo.
Con il tempo, però, ci adatteremo. Nonostante le ricorrenti profezie secondo cui l’università sarebbe scomparsa perché gli studenti potevano ottenere un’istruzione tramite corsi online gratuiti, tv, radio o stampa, queste rivoluzioni non l’hanno mai annientata. E non lo farà neanche l’intelligenza artificiale.
Contrariamente a quanto si pensa, l’università non si occupa di trasferire informazioni, ma di formare un’identità. Il ritorno al medioevo non sarà una regressione. Gli esami orali convivranno con innovazioni come l’apprendimento attivo e la valutazione diretta. Il ritorno a uno stile più colloquiale ed estemporaneo renderà l’istruzione superiore più interpersonale, più improvvisata e più idiosincratica, restituendo un senso di comunità alle nostre università.◆ bt
Clay Shirky è un saggista statunitense. Dal 2017 è responsabile dell’intelligenza artificiale e della tecnologia nell’insegnamento all’università di New York.
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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati