Tra qualche mese, quando entrerà in vigore il divieto dei social media per i minori di 16 anni deciso dal governo, il mondo virtuale degli adolescenti australiani sarà rivoluzionato. La scadenza di dicembre si avvicina, ma i ragazzi e i loro genitori non sanno ancora con certezza come sarà applicato il divieto e come sarà valutata l’età degli utenti. Molti esperti si aspettano confusione e risultati inattesi, soprattutto perché la tecnologia a cui dovranno affidarsi le piattaforme per stimare l’età degli utenti presenta significativi margini d’errore.
Dal 10 dicembre i grandi social media come Instagram, Facebook, X, Reddit, YouTube, Snapchat e TikTok dovranno adottare “misure ragionevoli” per rimuovere e cancellare gli account di tutti i minori di 16 anni in Australia. Le aziende che non si adegueranno rischiano multe fino a 27 milioni di euro. I genitori, invece, non possono essere puniti.
Prima di varare il divieto il governo australiano aveva chiesto una valutazione delle tecnologie disponibili, i cui risultati provvisori sono stati pubblicati a giugno. Il rapporto finale dovrebbe arrivare nelle prossime settimane. Sono stati testati oltre venti strumenti per la verifica dell’età su 1.100 studenti, compresi giovani indigeni e di altre etnie.
Un episodio riferito da Andrew Hammond dell’azienda di consulenza Kjr di Canberra, che ha coordinato il collaudo, dimostra la portata della sfida: l’età di un sedicenne è stata confusa ben quattro volte, con risultati che andavano dai 19 ai 37 anni. “In pratica lui ha fatto una smorfia e ha trattenuto il fiato, gonfiando le guance e diventando rosso come un vecchio arrabbiato”, spiega Hammond.
Sono state testate altre soluzioni, tra cui una che si basa sui gesti delle mani. “È in grado di stabilire l’età di una persona in una fascia piuttosto ampia”, dice Hammond, spiegando che alcuni ragazzi non volevano mostrare il volto ed erano più a loro agio con questo metodo.
Il rapporto provvisorio ha concluso che la verifica è sicura e tecnicamente fattibile, ma al momento della sua uscita era stato riferito che nell’85 per cento dei casi l’età dei ragazzi si poteva calcolare con un margine di errore inferiore a 18 mesi, un’affermazione che Hammond contesta. Se un utente riconosciuto dai software come maggiore di 16 anni risulterà più giovane, dovrà sottoporsi a metodi di verifica più complessi, come presentare, la carta d’identità o una conferma dei genitori o della scuola.
Secondo Hammond alcuni minorenni potranno essere individuati dagli algoritmi delle piattaforme. “Se qualcuno dichiara di avere 16 anni e poi mette like alle feste di compleanno degli amici undicenni, starà alle aziende vigilare e chiedergli di confermare l’età usando un altro metodo, per esempio il documento d’identità”.
Iain Corby dell’Age verification providers association di Londra, che ha collaborato al test australiano, è convinto che non c’è una soluzione ideale. Recentemente il Regno Unito ha introdotto la verifica obbligatoria per i siti che offrono “contenuti nocivi”, tra cui la pornografia. Dal 25 luglio, quando la norma è entrata in vigore, circa cinque milioni di persone al giorno hanno dovuto confermare l’età, dice Corby. “La norma richiedeva un’efficacia alta del sistema, non assoluta”, aggiunge. “La tecnologia non sarà mai perfetta, e più ci si avvicina alla perfezione, più diventa inopportuna per gli adulti”.
Un problema è che per aggirare il blocco si può ricorrere alle reti virtuali private (vpn) e fingere di trovarsi in un altro paese. Corby spiega che le piattaforme social dovranno monitorare tutto il traffico che proviene dalle vpn e valutare se può essere attribuito a ragazzi australiani. “Alcuni indizi potrebbero suggerire che una persona non si trova in Thailandia ma a Perth”, spiega.
Rincorsa costante
A parte i dubbi sulla verifica dell’età, viene da chiedersi se il divieto sia il modo migliore per proteggere gli adolescenti. Il governo australiano ha introdotto la misura perché è convinto che chi ha meno di 16 anni debba essere tutelato dai pericoli associati ai social, come l’esposizione a contenuti per adulti e il rischio di sviluppare una dipendenza. Inoltre sostiene che, posticipando l’uso dei social media, i ragazzi avranno più tempo per essere informati dei potenziali pericoli.
Attivisti e organizzazioni non sembrano convinti. “I social media hanno anche tanti aspetti positivi, come l’istruzione e il contatto con gli amici. Per noi è più importante rendere sicure le piattaforme e ascoltare i giovani per garantire che eventuali cambiamenti siano davvero utili”, ha scritto sul suo sito Unicef Australia.
Anche l’esperta australiana di sicurezza digitale Susan McLean pensa che il governo dovrebbe concentrarsi sui contenuti dannosi e sugli algoritmi che consentono ai ragazzi di accedervi. E critica soprattutto il fatto che il divieto non comprenda l’intelligenza artificiale (ia) e le piattaforme di gioco.
“Trovo preoccupante che ci si concentri sui social, specialmente quelli che usano gli algoritmi”, commenta. “Che dire delle piattaforme di gioco dove i ragazzi vengono adescati o degli assistenti virtuali basati sull’ia? Il provvedimento non li menziona nemmeno, mentre secondo me sono altrettanto pericolosi, se non di più”.
Per Lisa Given del Royal Melbourne institute of technology, il divieto non risolverà i problemi legati al bullismo online o all’accesso a contenuti inappropriati. Vista la rapidità con cui la tecnologia cambia, la minaccia si ripresenterà con piattaforme e strumenti nuovi, a meno che non si affronti alla radice la questione, dice Given. “Sarà una rincorsa costante perché le nuove tecnologie continueranno a spuntare, e a quel punto cosa facciamo? Servirà un altro divieto o bisognerà cambiare la legge?”, si chiede.
Dopo l’entrata in vigore del provvedimento le sue conseguenze saranno studiate con attenzione, e il governo ha intenzione di valutare gli effetti dopo due anni. Altri paesi osserveranno gli sviluppi per capire se la misura riuscirà davvero a migliorare la salute mentale dei ragazzi. “L’Australia sta offrendo al mondo una straordinaria opportunità per un esperimento controllato”, dice Corby. “È un vero e proprio test scientifico, e le occasioni di esaminare un enorme campione in un contesto circoscritto non capitano spesso”. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati