La televisione è un animale ingombrante. Invade gli spazi e le storie con i suoi arnesi, sbircia, fa domande inopportune, trasmette il dolore, è ingorda, è d’intralcio, esagera nell’entusiasmo e nella retorica, è refrattaria al silenzio, ha l’ossessione di spiegare, ha la sindrome dell’impostore. Il 27 marzo 2020, con le immagini di papa Francesco che sotto la pioggia attraversa da solo piazza San Pietro deserta, in piena pandemia, con addosso gli occhi del mondo chiuso in casa, la tv fece un eccezionale passo indietro. Niente grafiche né musica. Solo zoom calibrati, tempi morti e un unico attore che dava le spalle all’umanità scomparsa. Vatican News e il Dicastero per lo sviluppo umano integrale riuscirono nell’impresa di dispiegare la liturgia nella sua purezza. Il crocifisso della chiesa di San Marcello e l’icona Salus populi romani unici elementi di arredo. La porta da cui si intravedeva il baldacchino del Bernini era insieme il punto di fuga e il dietro le quinte di una scenografia che sembrava fatta per quello. Le riprese dall’alto sottraevano al pontefice l’alibi del pulpito, accentuandone la vulnerabilità. Pur addestrata a raccontare ogni sfumatura dell’esistenza, quel giorno la televisione accantonò il mestiere di scrivere, catturando il gesto più spettacolare, nel senso di ciò che attrae lo sguardo, della vita di Francesco. Torneremo a leggere quel messaggio e a meravigliarci di una tv che non ha inquadrato ma custodito. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati