All’inizio di agosto in Scandinavia una madre ha scritto sulla bacheca scolastica: “Qualcuno ha rubato il Labubu di mia figlia! È un Labubu vero! Lei è molto turbata. Per favore, restituitelo!”. Sono intervenuti poi altri genitori, denunciando la sparizione di esemplari veri e contraffatti. Quelli che avevano speso circa 30 euro per un Labubu originale sembravano molto provati dall’accaduto. In un’altra scuola è stato chiesto ai bambini di non portarli più perché provocavano scompiglio. Un Labubu non è altro che un pupazzetto con denti affilati appeso a un portachiavi. Quelli “veri” sono prodotti in Cina dalla Pop Mart (il valore di mercato dell’azienda è di 32 miliardi di euro). Quelli contraffatti sono fabbricati sempre in Cina, ma da qualcun altro, e sono identici. In Europa gli introiti della Pop Mart sono cresciuti del 729 per cento nel primo trimestre del 2025. Gran parte delle vendite riguarda le cosiddette “scatole a sorpresa”. Come con le confezioni aggiuntive di carte Pokémon, non sai mai cosa puoi trovarci dentro. Un pupazzetto comune, o magari uno molto raro. Poi lo appendi alla borsa e te lo porti dietro. Gli acquirenti sono per la maggior parte adulti.
Solo nella prima metà del 2025, la Pop Mart ha venduto mostriciattoli di plastica e peluche per più di 573 milioni di euro. Questo perché il Labubu è sostanzialmente un prodotto sociale: più gli altri lo vogliono, più lo vuoi anche tu. Ma quali desideri soddisfa? Come nei sogni della destra neoconservatrice, anche nei Labubu c’è nostalgia. Il ritorno a un’infanzia in cui la dolcezza da sola bastava a suscitare gioia. In un periodo di riarmo, con l’incombente bolla azionaria dell’intelligenza artificiale e il rapido declino del mondo naturale, ci si può sentire autorizzati ad avere fantasie su fiocchi di cereali e cartoni animati il sabato mattina.
Solo nella prima metà del 2025, la Pop Mart ha venduto pupazzi per più di 573 milioni di euro. Questo perché il Labubu è un prodotto sociale: più gli altri lo vogliono, più lo vuoi anche tu
Il Labubu però non è solo un giocattolo, è uno status symbol. Per molti versi la moda dei Labubu somiglia a quella per i tulipani olandesi negli anni trenta del seicento. Ora però c’è in ballo qualcosa di più sinistro: il punto di questi mostriciattoli non è possederli per poi rivenderli a un prezzo più alto, ma essere associati a loro. Il prezzo dell’usato è alto solo per gli esemplari rari. Con l’avanzata di marchi fast fashion come Shein e Temu, essere alla moda non è più così importante. Anche quelli considerati gli sfigati più poveri possono seguire le ultime tendenze.
E qui entrano in gioco i Labubu. Personaggi famosi come la tennista Naomi Osaka e la cantante Lisa del gruppo k-pop Blackpink hanno il loro, un pezzo unico. È quello il sogno: un articolo fatto apposta per te. Ma se non è possibile, allora si può semplicemente perseverare. Influencer e ricchi comprano decine e decine di scatole per trovare un Labubu segreto, o un’edizione limitata. Nei video su TikTok e Instagram si accumulano pile su pile d’involucri di plastica e cartone. E poi ecco l’urlo di felicità mentre un Labubu astronauta emerge dalla landa tossica di microplastiche. La bocca spalancata, però, ha più cose in comune con L’urlo di Munch che con una risata. È un suono prodotto dall’orrore della vita contemporanea. Ad agosto il Guardian ha pubblicato un articolo in cui si raccontava di persone che non riuscivano a fare a meno di acquistare scatole a sorpresa fino a rovinarsi. Un esperto l’ha paragonato alle scommesse. Ma naturalmente la fase dell’accettazione non arriva mai. L’astronauta annoierà. L’attimo in cui è uscito dalla scatola è l’unico momento di gioia.
La moda dei Labubu prende il peggio tanto dell’attuale cultura adulta quanto di quella dell’infanzia. Dal mondo degli adulti prende il tessuto sociale lacerato, in cui conta solo la gerarchia: si viene riconosciuti dagli altri solo perché si fa o si possiede qualcosa che gli altri desiderano. Dal mondo dell’infanzia prende l’infinita produzione di plastica, novità che hanno un valore solo in quanto tali. In ogni cervello nel mondo occidentale di oggi c’è una quantità di plastica pari a quella che serve per fare un cucchiaino. Dal 2016 al 2024 la quantità trovata nei cervelli delle persone morte è raddoppiata.
Secondo una stima, la produzione di plastica derivante dai Labubu venduti tra gennaio e settembre 2025 è stata di undicimila tonnellate. Eppure, quando le analisi economiche valutano la Pop Mart, esprimono solo ammirazione per il valore che genera. Da nessuna parte si parla di quello che i Labubu distruggono: gli oceani, i cervelli.
La Goldman Sachs di recente ha pubblicato una ricerca sul ciclo vitale di mode come quella dei Labubu. È di appena due o tre anni. Nel 2028 non potrete entrare in un negozio di seconda mano senza vedere uno dei milioni di Labubu venduti nel 2025 nel cesto delle occasioni. Direte al vostro amico, ridendo: “Ti ricordi di quando tutti erano impazziti per questa roba?”. Sarà divertente. Ma anche molto triste. ◆ gim
Questo articolo è uscito sul quotidiano danese Dagbladet Information.
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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati