Ho provato a scrivere queste milletrecentonovanta battute esaltando ironicamente la migliore delle Italie possibili disegnata dal governo Draghi con l’aiuto del vaccinatore Figliuolo. Ma l’ironia, specialmente quella che vuole essere sottile, è un esercizio pieno di trappole. Se a una persona che non vi piace, dite: non riesco nemmeno a immaginare come sarebbe la vita su questo pianeta se tu non ci fossi, è sufficiente un piccolo errore di tono e rischiate la dichiarazione d’amore. Questo nel discorso orale, dove con un po’ di prontezza si può sempre aggiustare il tiro. Più complicata, e anche più rischiosa, è la scrittura ironica. O il lettore è accolto con tutte le segnaletiche del caso al posto giusto – il testo ironico è sempre in bilico tra il sì e il no, i suoi significati sono per statuto di un’evidenza nascosta – o non funziona niente. E quando non funziona niente, è un problema. A lato di chi legge non c’è l’autore che s’affanna a chiarire: qui, proprio perché affermo questo, volevo dire il contrario. Di conseguenza, se uno non è Platone, basta poco e persino Socrate può sembrare, in confronto a quei sapientoni dei suoi interlocutori, davvero un ignorante. Perciò, quando un’amica mi ha detto: bravo, ti sento ottimista, ho perso fiducia e ho cestinato il testo. Se il lettore l’ironia non la coglie, lo sgarro è sempre di chi scrive, mai di chi legge.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1414 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati