Gli spazi occupati dai bambini durante e dopo i loro giochi sono la miniatura del disastro planetario. E il ritorno all’ordine è sempre una breve parentesi, come del resto brevi parentesi sono le paci adulte, i provvedimenti antidisuguaglianze, i buoni propositi verdi. Basta poco, infatti, e subito si ricomincia con gli sconquassi. La cosa viene in mente guardando Anna , la serie televisiva che Niccolò Ammaniti ha diretto muovendo dal suo libro con lo stesso titolo. Il genere è quello postapocalittico: una pandemia ammazza gli adulti e risparmia i bambini, che vivono senza grandi e appena grandi muoiono. Ci sono tutte le stazioni della violenza e dell’orrore. Ma Ammaniti ha da tempo un mondo letterario suo autonomo e – grazie a un’immaginazione fertilissima che fa uso in modo sempre anomalo di paesaggi e oggetti quotidiani, grazie a una forza visiva spiazzante, grazie a una commistione di ritmo narrativo coinvolgente e tocchi di verità psicologica – riesce a farne cinema con ottimi risultati. Per capirci, i suoi bambini c’entrano poco con Il signore delle mosche di Golding, o saghe tv derivate. Sono sicuramente bambini feroci che non rimetteranno mai più la camera in ordine. Ma sono anche i superstiti di un mondo fallimentare di adulti infantili che, anche da estinti, seguitano a condizionarli attraverso i loro resti con le migliori e le peggiori intenzioni.

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati