◆ Speriamo che, per il nostro bene e per il buon nome dei militari italiani, il generale Figliuolo si adoperi al meglio. Ma senza strafare. Ci vuole poco a convincersi, oggi, che l’esercito è il toccasana; che ha elevate competenze in ogni settore, e sempre coniugate con ordine, disciplina, fedeltà; che il tipo umano costantemente in uniforme o tuta mimetica, sintesi rassicurante del monopolio statale della violenza, non è confrontabile con gli attuali sciamannati politici. Vero è che basta vedere cosa hanno combinato e combinano i militari in tutta l’area mediorientale, nessuno stato escluso. Vero è che basta annotarsi le cose atroci che sta facendo l’esercito ex birmano. Vero è che basta pensare all’Egitto, a Regeni, a Patrick Zaki, alle carceri di tutti i regimi autoritari del mondo. Vero è che basta uno sguardo anche solo ai militi addetti alla pubblica sicurezza quando si danno alla pubblica insicurezza. Ma in tempi di democrazie deboli ulteriormente debilitate dal virus, ci vuole poco ad accecarsi e chiedersi: perché mai generali competenti quanto il buon generale Figliuolo non dovrebbero dare il loro contributo – visto che anche la protezione civile ci immagina in guerra – agli interni, al tesoro, ai lavori pubblici, alla giustizia, all’istruzione, alla sanità, all’ambiente? Ci ritroveremmo piano piano con una democratica giunta militare.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati