**◆ **Dedico queste righe all’intelligenza di Rossana Rossanda e alla sua scrittura. Ho cominciato a leggerla nei primi anni sessanta e non ho smesso mai. Scriveva con l’energia di chi si sottopone a un continuo sforzo di comprensione e già mentre scrive sente di non aver capito abbastanza, che bisogna ricominciare. Era solidamente ancorata all’idea che la verità effettuale delle cose era segnata dalla lotta di classe e che il futuro, malgrado gli errori, andava necessariamente immaginato comunista. La sua parola politica sommava in sé tanti modi diversi – tutti alti – di entrare in relazione col mondo. Rossana aveva una grande capacità di studio, una straordinaria sensibilità letteraria e artistica. Con la sua prosa ha registrato crolli, sconfitte, i nuovi vessilli innalzati dal capitalismo, non smettendo mai di questionare su quali occhiali avrebbero assicurato alla sinistra uno sguardo più lucido, le strategie di lotta più efficaci. Lo ha fatto sempre con un di più, un guizzo fuori schema grazie al quale è stata anche narratrice di qualità, esploratrice del corpo, della malattia, dell’invecchiamento, della morte. Quando l’ho conosciuta, al Manifesto, la persona si è subito confusa con la devozione che avevo per le sue pagine. Era energica allo stesso modo, e di una raffinatezza appena sprezzata dall’ironia. Le donne avrebbero voluto diventare come lei, forse anche gli uomini, io sì.

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Questo articolo è uscito sul numero 1377 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati