**◆ **Di cosa farà in futuro, politicamente parlando, l’ex ministro Lorenzo Fioramonti qui importa poco o niente. Sulla sua vicenda conviene tornare solo per il nesso abusato tra la parola “dimissioni” e la parola “coraggio”. Fioramonti, com’è noto, ha rinunciato alla carica di ministro dell’istruzione. Ciò ne ha fatto automaticamente, per bocca della ministra Fabiana Dadone, un pavido che invece di combattere se la svigna. Certo, l’associazione tra gran rifiuto e viltà viene facile, è autorizzata da Dante (canto III dell’ Inferno ). Ma quel verso è misterioso, ancora lo si studia, e comunque il poeta non dice che tutti i rifiuti sono vili. Quello di Fioramonti, infatti, non pare che lo sia. Riflettiamo. Come avrebbe dovuto dimostrare la sua tempra di audace, il Fioramonti secondo Dadone? Riformando a vanvera l’esame di maturità, inventandosi nuove vessazioni burocratiche per insegnanti e studenti, cancellando materie o moltiplicandole, facendo pistolotti a destra e a manca, annaspando nell’esistente? Fioramonti s’è girato un po’ i pollici e poi ha deciso che, se doveva fare il ministro senza un centesimo, solo per tappare un buco, era meglio sbattere la porta. Cosa che impavidamente ha fatto, a differenza di molti suoi predecessori e, temiamo, successori. Forse, se non sarà ricordato come il miglior ministro dell’istruzione, lo sarà come il più esplicito e il meno pasticcione.
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Questo articolo è uscito sul numero 1341 di Internazionale, a pagina 10. Compra questo numero | Abbonati