Abbiamo due bambini di sei e tre anni. Qual è l’approccio migliore per la crescita dei nostri figli: quello delle generazioni precedenti, che condividevano e giocavano con i figli molto poco, lasciandoli più liberi, o quello dei genitori moderni, che cercano, per quanto possibile, di ottimizzare il tempo passato con i figli giocando e condividendo momenti, più da amici che da genitori? –Andrea
Leggendo la tua domanda mi è sembrato di attraversare la storia degli ultimi cento anni della genitorialità riassunta in poche righe. I genitori di una volta stavano poco con i figli perché, semplicemente, non era previsto: i padri lavoravano, le madri badavano alla casa, e i bambini crescevano più liberi, ma anche più soli. Oggi è cambiato tutto: spesso entrambi i genitori lavorano, il tempo con i figli è poco, e proprio per questo si cerca di renderlo di qualità. Si gioca insieme, si ascolta, si parla. A volte si esagera, certo, e si rischia di diventare compagni di giochi più che educatori. Ma non è solo una moda, è una trasformazione culturale: oggi l’infanzia viene vissuta come qualcosa da accompagnare e non solo da sorvegliare. Non so dirti se prima fosse meglio o peggio. Era solo diverso. Ma una cosa è certa: nessun bambino è mai cresciuto male perché qualcuno ha giocato con lui. Il vero rischio, semmai, è pensare che esista una formula giusta per tutti. Ogni famiglia trova il suo equilibrio tra libertà e presenza, tra vecchie abitudini e nuovi modelli. E l’approccio migliore, alla fine, è quello che tiene conto di chi sono i vostri figli, e anche di chi siete voi.
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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati