Nel 2006 uscì un film girato da Ethan Hawke che si intitolava L’amore giovane, basato sul romanzo che aveva scritto dieci anni prima. È un film polaroid sull’incontro tra due ventenni. Lei fa la cantante, le cose diventano asimmetriche in fretta e lui torna alle sue origini per capire cosa è andato storto. Non è un’opera indimenticabile, ma insieme a Una canzone per Bobby Long di Shainee Gabel e a My blueberry nights di Wong Kar-wai (sono tutti film di vent’anni fa, e mettiamoci pure American life di Sam Mendes) convoglia sentimenti simili sull’amore, l’arte, la fuga, la transitorietà di una stagione per chi si ritroverà a fare famiglia. L’album Rosa di luce del duo romano Wow ha la quieta gioia di film come questi, superandoli per maturità e concisione poetica, senza rinunciare a un’emotività accessibile, avvalendosi a tratti di un sax che Justin Vernon ha usato nei suoi dischi più belli (nel disco degli Wow lo suona lo statunitense Ryan Spring Dooley) prima di darsi anima e corpo al soft pop di Sable, fable – nulla da biasimare, di questi tempi serve pure la bontà – e compiendo un viaggio circolare nel nostro passato: la voce della cantante e batterista China fa mezzi miracoli in Le montagne e noi per sostenere una fantasia in cui Silvia Tarozzi, Sibylle Baier, Antonella Ruggiero e lei stessa formano un girl group scambiandosi le parti. Indovinato e poetico, e senza il minimalismo sacrificato che troppo spesso coincide con una mancanza d’idee spacciando la musica povera per avanguardia, Rosa di luce rientra tra i dischi italiani che mi porterò fino alla fine dell’anno. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati