L’omicidio dell’intellettuale Lokman Slim, trovato morto la mattina del 4 febbraio nel sud del Libano, è un terribile bagno di realtà, in un momento in cui il paese affronta diversi problemi. Negli ultimi dieci anni nel dibattito pubblico è stato cancellato qualsiasi punto di vista critico verso l’asse Siria-Iran: l’ex ministro Mohammad Chatah, assassinato nel 2013, fino a ieri era l’ultimo di una lunga lista di martiri vittime di attentati attribuiti all’autoproclamato “asse della resistenza”, l’alleanza tra l’Iran, la Siria e Hezbollah.

Anche se il metodo non è paragonabile, l’uccisione di Lokman Slim potrebbe comunque iscriversi in questa logica. Tutti gli elementi fanno pensare a una responsabilità di Hezbollah: il luogo dell’omicidio, il movente e il contesto generale. Slim, un intellettuale sciita noto per le sue critiche al “partito di dio” e per questo minacciato più volte, è stato colpito nella sua auto da cinque pallottole, quattro alla testa e una alla schiena, nella località di Touffahta, nel sud del paese. Perché ora? Perché – se Hezbollah è davvero coinvolto – usare gli stessi metodi, in un momento in cui il partito sciita domina la scena politica libanese? Di solito l’obiettivo degli omicidi politici è eliminare una voce scomoda e mandare un avvertimento a tutti gli altri. La morte di Slim quindi può essere analizzata da tre punti di vista: quello della popolazione sciita, quello del Libano e quello dell’intera regione.

Il partito libanese Hezbollah non è mai stato tanto contestato. Per questo l’uccisione dell’intellettuale Lokman Slim potrebbe essere un avvertimento ai nemici e agli alleati

Dalla rivoluzione del 17 ottobre 2019 Hezbollah è sempre più spesso criticato dalla popolazione sciita. Queste contestazioni non provengono solo dalla frangia più dissidente (a cui apparteneva Lokman Slim), che secondo il partito e i suoi sostenitori è formata da agenti al soldo del nemico statunitense. Arrivano anche da ambienti tradizionalmente favorevoli all’organizzazione. A Hezbollah si rimprovera l’alleanza con il movimento conservatore sciita Amal, l’inerzia contro la corruzione, ma anche il fatto di essere diventato una milizia regionale dopo i suoi interventi in Siria, Iraq e perfino nello Yemen. La personalità del segretario generale Hassan Nasrallah e le armi del partito rimangono tuttavia due elementi imprescindibili per la maggioranza dei sostenitori. L’affare Kassem Kassir, scoppiato a gennaio, dà un’idea delle tensioni che animano oggi la popolazione sciita libanese. Kassir, un intellettuale vicino a Hezbollah e con un fratello nell’apparato di stato della Repubblica islamica d’Iran, era stato criticato dopo aver detto in un’intervista televisiva che il partito doveva prendere le distanze dall’Iran. Alla fine era stato costretto a ritrattare.

Hezbollah quindi potrebbe aver voluto mandare un messaggio: le critiche provenienti dagli sciiti non sono più tollerate. Non solo Slim contestava il controllo del partito sulla comunità, ma lo faceva addirittura dal sud del paese, una zona sotto lo stretto controllo dell’organizzazione. E c’era lui dietro gli incontri di settembre tra David Schenker, vicesegretario di stato degli Stati Uniti con incarico per il Medio Oriente, sostenitore della linea dura verso Hezbollah, e una decina di personalità sciite ostili al partito.

Hezbollah vive un momento paradossale. Non è mai stato così forte, ma al tempo stesso non è mai stato tanto contestato. Sta perdendo il sostegno della popolazione cristiana, che lo considera responsabile della crisi economica e delle esplosioni al porto di Beirut del 4 agosto 2020. È sulla difensiva, perché rischia di perdere un’alleanza su scala nazionale. L’eliminazione di Lokman Slim potrebbe essere un modo con cui ricorda agli avversari, ma anche agli alleati, di cosa è capace pur di conservare le sue conquiste.

Questa tragedia avviene inoltre mentre le milizie filoiraniane uccidono chiunque osi sfidarle in Iraq. Dopo l’assassinio, il 3 gennaio 2020, del generale iraniano Qassem Soleimani da parte degli Stati Uniti, Teheran sembra aver abbassato i toni nei confronti di Washington e intensificato, al contrario, la pressione sulle popolazioni locali. Dopo aver subìto la politica di Donald Trump e gli attacchi israeliani contro i suoi avamposti in Iraq e in Siria, Teheran spera di riprendere fiato con l’arrivo al potere di Joe Biden, che vuole risuscitare l’accordo sul nucleare. Ma i segnali di un rafforzamento dell’influenza iraniana in Libano e in Iraq non sembrano favorire un approccio diplomatico all’interno della Repubblica islamica, dove a giugno si voterà.

In Libano l’omicidio di Lokman Slim rischia di polarizzare la società civile, già molto divisa sulla politica da adottare nei confronti di Hezbollah. E rischia di dar ragione a chi pensa che, finché il paese sarà dominato da una milizia armata il cui programma è in gran parte vincolato alle richieste di Teheran, le riforme saranno solo di facciata. In Libano, tuttavia, la situazione è così critica che un nuovo dramma potrebbe presto riprendersi il centro della scena. ◆ ff

**Anthony Samrani **
è un giornalista libanese. Lavora per il quotidiano L’Orient-Le Jour, per il quale ha scritto questo articolo.

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati