L’8 ottobre l’assemblea nazionale costituente del Venezuela, interamente controllata dai chavisti, ha approvato la cosiddetta Ley antibloqueo (Legge antiembargo), uno strumento giuridico pensato per attirare i capitali nel paese aggirando le sanzioni internazionali imposte al governo del presidente Nicolás Maduro.
La legge estende i poteri del presidente e del governo all’interno del sistema costituzionale del paese. Probabilmente è una delle concessioni più grandi che la rivoluzione bolivariana ha fatto al capitale privato nei suoi vent’anni al potere. In un momento in cui le casse dello stato sono vuote, l’industria nazionale è in bancarotta e il paese è sommerso dai debiti, la legge segna una svolta nella concezione economica del chavismo: l’obiettivo è attirare capitali per frenare la catastrofica contrazione dell’economia.
A differenza di altre, questa legge è stata osteggiata non solo dall’opposizione, che la considera in conflitto con l’ordinamento giuridico venezuelano, ma anche da alcuni esponenti del chavismo e dagli alleati di Maduro, che l’hanno criticata perché va contro “l’eredità di Hugo Chávez”. Secondo Allan Brewer Carías, uno dei giuristi più famosi del paese, la norma “è un’aberrazione”. Tra i critici c’è anche Elías Jaua, ex vicepresidente e dirigente del Partido socialista unido de Venezuela. E in un comunicato il partito comunista ha scritto che la legge “aumenterà la debolezza dell’economia davanti agli aggressori esterni e sposterà ancora di più il peso della crisi e delle sanzioni sulle spalle dei lavoratori”. Ma secondo alcuni dirigenti, per “salvare la rivoluzione” bisogna avvicinarsi al capitalismo e abbandonare l’ortodossia che ha caratterizzato il chavismo per vent’anni. Uno degli esponenti più noti di questo fronte è Tarek El Aissami, ministro dell’energia e del petrolio, che ha riunito sotto la sua leadership capitali di origine araba e alcuni imprenditori venezuelani.
**Opportunità **
“La norma darà molta discrezionalità al governo e renderà tutto meno trasparente”, dice Asdrúbal Oliveros, direttore di Ecoanalítica, che si occupa di analisi economiche. “Lo stato consentirà ai privati di prendersi gli spazi che giudicherà convenienti, ma manterrà gli strumenti normativi e la forza d’intervento del chavismo. La legge dovrebbe promuovere le concessioni nel settore minerario e degli idrocarburi: è da lì che possono arrivare dei cambiamenti. Probabilmente il settore privato entrerà nelle catene del commercio e del rifornimento di benzina”, continua Oliveros. Secondo lui, ci sarà una ripresa parziale in alcuni settori, ma la situazione generale dell’economia non cambierà.
L’economista Orlando Ochoa pensa che la legge attirerà capitali arabi, turchi, iraniani o russi, e darà ad alcuni imprenditori vicini al chavismo opportunità di fare affari. Le misure adottate prevedono anche la possibilità di restituire ad alcuni proprietari i beni espropriati con le nazionalizzazioni. Molti di quei beni, però, sono in un grave stato di deterioramento. Secondo Ochoa, c’è il rischio che capitali di origine ignota trovino in Venezuela il posto ideale per riciclarsi.
“Si cerca di diminuire il potere che potrebbe avere il futuro parlamento nella crisi venezuelana”, dice l’economista Francisco Rodríguez, “e si vuole imporre l’idea che l’embargo sia l’unico responsabile di questa crisi. I populismi sono così: mandano in bancarotta l’economia, restano a secco di soldi e a quel punto li devono cercare altrove. Sono sicuro che se il presidente Nicolás Maduro non fosse sottoposto alle sanzioni economiche, si sarebbe rivolto al Fondo monetario internazionale e avrebbe accettato un programma di tagli”. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1380 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati