Ad Angelo Raffaele Turetta piacciono le sorprese. Forse è per questo che ha deciso di lavorare nel mondo del cinema, anche se sostiene che sia cominciato tutto per caso. Un passato da fotoreporter, come collaboratore della stampa estera alle prese con fatti di cronaca e reportage, “a raccontare la polizia, i disperati, le feste dell’alta borghesia a Roma”. Nei primi anni novanta l’amico e scrittore Claudio Camarca gli propone di fare le foto di scena del film Quattro bravi ragazzi, che sta per andare a dirigere a Milano. È agosto, Turetta decide di seguirlo e in questo castello dei destini incrociati scopre una passione.

“Sul set realizzo che in effetti il cinema non è nient’altro che un’industria che produce finzione, spettacolo. È una struttura piramidale pazzesca, quasi militare, con tempi ben precisi e rigorosi, dagli orari alle pause”, racconta. “Soprattutto, c’è il lavoro dell’uomo: i macchinisti, gli elettricisti, la scenografia, il regista”.

Ed è così che ha cominciato, applicando il suo metodo di lavoro giornalistico all’osservazione e alla documentazione dei set, ma trovando sempre un varco per le sue visioni. Da più di trent’anni Turetta crea film nei film e realizza immagini poetiche, capaci a volte di fissare una scena in una fotografia evocativa, con una vita tutta sua, come il bagno nel latte di Charlotte Gainsbourg in Nuovomondo di Emanuele Crialese.

“Il mio lavoro è sempre stato quello di cercare paesaggi errati, situazioni surreali che si generano automaticamente nel momento in cui un set si inserisce in un luogo, stravolgendolo e trasformandolo, anche se con l’intento di essere il più realistico possibile. Il cinema, per sua natura, non sarà mai reale: paradossalmente, deve forzare la realtà per renderla più vera”, racconta Turetta, aggiungendo che “queste forzature, però, se osservate da un punto di vista diverso diventano dei paesaggi metafisici, delle situazioni anomale. Ed è proprio quello che mi piace vedere e fotografare”.

Ci sono registi con cui ha costruito rapporti duraturi attraverso collaborazioni continuative, da Marco Tullio Giordana a Emanuele Crialese, ma apprezza anche le sfide dei giovani autori, come Claudio Giovannesi e i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, “perché amano sperimentare, con grande libertà”.

Il suo lavoro segue due binari paralleli: il primo è quello legato alla promozione del film e alle esigenze della produzione, per cui scatta foto di scena e ritratti in cui racconta la macchina del cinema e i dietro le quinte. Il secondo è lo spazio dove vede e immagina, usando solo la pellicola: “Per me il negativo è sacro”, confessa. E a proposito del suo processo creativo, ammette: “Una delle cose che preferisco, dopo aver scattato le foto necessarie per la promozione dei film, è estraniarmi e iniziare a osservare da lontano, alla ricerca dell’irreale”.

Dal 17 aprile al 10 maggio, Officine fotografiche dedica a Turetta una mostra personale dal titolo Cronache dalla finzione, un viaggio in bianco e nero attraverso i numerosi set che l’autore ha calcato. La retrospettiva è curata dal collega Massimo Siragusa, che ha voluto celebrare la sua ricerca sterminata e poetica prima all’interno del Ragusa foto festival – che dirige – e ora a Roma.

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