Israele ha condotto il 13 giugno dei bombardamenti contro l’Iran, colpendo un impianto di arricchimento dell’uranio e uccidendo alcuni alti funzionari militari della Repubblica islamica.
Un nuovo ciclo di negoziati sul programma nucleare iraniano tra Stati Uniti e Iran era previsto per il 15 giugno, in un contesto di forte tensione, ma negli ultimi giorni si erano intensificate le voci su un’imminente azione militare israeliana.
L’Oman, mediatore tra Washington e Teheran, ha denunciato un’“escalation pericolosa”, mentre le Nazioni Unite hanno invitato le parti alla “massima moderazione”.
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Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
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Secondo una fonte militare israeliana, ci sono state “decine” di raid contro impianti nucleari e siti militari in tutto l’Iran. La televisione di stato iraniana ha confermato che l’impianto di arricchimento di Natanz, nel centro del paese, è stato colpito più volte.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), organo di vigilanza nucleare delle Nazioni Unite, ha confermato che il sito è stato attaccato e ha dichiarato di “monitorare attentamente una situazione profondamente preoccupante”.
Anche tre siti militari nel nordovest del paese sono stati colpiti, secondo la televisione iraniana. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato che l’operazione durerà “tutti i giorni necessari”. L’Iran ha chiuso il proprio spazio aereo e ha dichiarato che la difesa antiaerea è “operativa al cento per cento”.
Almeno 50 persone, tra cui donne e bambini, sono rimaste ferite. I mezzi d’informazione di stato hanno segnalato “forti esplosioni” nella capitale e hanno mostrato il quartier generale dei Guardiani della rivoluzione, un corpo militare del regime, in fiamme.
Secondo le fonti locali, sono stati uccisi almeno due comandanti: il generale Hossein Salami, comandante in capo, e il generale Gholam Ali Rachid. Tra le vittime ci sarebbero inoltre due scienziati nucleari. Anche il capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, il generale Mohammad Bagheri, sarebbe morto.
Netanyahu ha definito l’attacco “un successo”, affermando che Israele “ha colpito al cuore del programma missilistico iraniano”. Il ministro della difesa Israel Katz ha dichiarato lo stato d’emergenza in tutto il paese e ha avvertito di un’imminente “attacco con missili e droni” dell’Iran.
Il prezzo del petrolio è aumentato del 12 per cento, alimentando i timori di gravi ripercussioni sull’approvvigionamento.
Negli Stati Uniti, alleato storico di Israele, il presidente Donald Trump ha convocato il consiglio per la sicurezza nazionale. Il segretario di stato statunitense Marco Rubio ha dichiarato che Israele ha spiegato l’attacco definendolo “necessario per la propria difesa”.
Trump, che a metà aprile ha ripreso i colloqui indiretti con l’Iran sul suo programma nucleare, aveva avvertito giovedì di una possibile azione israeliana contro i siti nucleari.
In previsione di un “conflitto su larga scala” in Medio Oriente, Washington ha ridotto il personale diplomatico nella regione, in particolare in Iraq.
L’Iran non riconosce Israele e il suo programma nucleare è considerato una minaccia esistenziale da Tel Aviv. Teheran aveva avvertito mercoledì che, in caso di fallimento dei colloqui, avrebbe potuto colpire le basi militari statunitensi nella regione. Il sesto ciclo di negoziati è previsto domenica a Mascate, in Oman.
Il nodo dell’arricchimento dell’uranio
L’Iran continua a sostenere che il suo programma nucleare ha scopi esclusivamente civili, mentre gli Stati Uniti e Israele lo accusano di voler costruire un’arma atomica.
Il nodo principale delle trattative è l’arricchimento dell’uranio: Washington chiede che Teheran ci rinunci completamente, mentre l’Iran lo considera un “diritto non negoziabile”. Dopo una condanna dell’Aiea per violazione degli obblighi internazionali, Teheran ha annunciato la costruzione di un nuovo sito per aumentare “significativamente” la produzione di uranio arricchito.
Nel 2015, Teheran e le grandi potenze avevano firmato un accordo sul nucleare in cui l’Iran accettava di limitare il proprio programma in cambio della revoca delle sanzioni. Ma nel 2018 Donald Trump ha ritirato unilateralmente gli Stati Uniti dall’intesa, durante il suo primo mandato.