Mentre il suo esercito lancia un’offensiva terrestre nella città di Gaza, Benjamin Netanyahu ha rilasciato dichiarazioni che stonano con il suo discorso abituale, preoccupando una buona parte degli israeliani. In occasione di una conferenza economica a Tel Aviv, Netanyahu ha infatti promesso che Israele diventerà una “Supersparta”.

Sparta era una città-stato dell’antica Grecia, famosa per l’organizzazione militarizzata, la disciplina e l’obbedienza totale allo stato, tutte caratteristiche che si ritrovano nell’aggettivo “spartano” in uso ancora oggi. Era anche una società estremamente gerarchizzata in cui non tutti avevano gli stessi diritti e alcuni individui erano ridotti in schiavitù.

Naturalmente Netanyahu non vuole riprodurre alla lettera la società spartana di 2.500 anni fa, ma con questo riferimento, in un momento in cui Israele vive in una guerra permanente da due anni, la più lunga della sua storia, il primo ministro lancia dei messaggi agli israeliani e al resto del mondo.

Il primo messaggio è che la guerra con ogni probabilità durerà a lungo. A differenza di quanto succedeva in passato (se lasciamo da parte l’occupazione dei territori palestinesi), la guerra oggi non è un’anomalia tra periodi normali, ma una condizione permanente.

E, nello spirito di Sparta, significa anche un’economia di guerra, che comprende una relativa autosufficienza nella produzione di armi. A proposito dell’annullamento di alcune forniture della Spagna, Netanyahu ha risposto in tono di sfida: “Siamo abbastanza bravi da produrre da soli le nostre armi”.

Il secondo messaggio allude a una condizione di isolamento e autarchia. Netanyahu ha avvertito gli israeliani che il paese vivrà un relativo isolamento a livello internazionale. Il premier ha ricordato le critiche crescenti dell’Europa, attribuendole all’immigrazione musulmana e alla propaganda del Qatar e della Cina sui social media.

Verso l’autoritarismo

Molti israeliani, soprattutto quelli che già prima del 7 ottobre manifestavano contro i progetti “illiberali” di Netanyahu e della sua coalizione di estrema destra, vedono nel riferimento a Sparta una deriva autoritaria. La descrizione di una società militarizzata alimenta i timori sull’erosione dei contropoteri.

Infine lo spirito di Sparta e la promessa di “tornare a Gaza, dove tutto è cominciato”, come ha detto Netanyahu, sono una risposta alle critiche esterne: un no al riconoscimento della Palestina da parte della Francia e di altri paesi un tempo vicini a Israele, un no alla possibilità di sanzioni europee (una novità assoluta) che sarà discussa il 17 settembre a Bruxelles, un no alla commissione di esperti delle Nazioni Unite secondo cui a Gaza è in corso un genocidio e infine un no agli stati arabi riuniti a Doha dopo il raid israeliano in Qatar, compresi alcuni di quelli che hanno firmato gli Accordi di Abramo.

Non tutti apprezzano questo atteggiamento aggressivo. Secondo l’ex primo ministro israeliano Ehud Barak si tratta di una follia, perché una “Supersparta significherebbe la fine del paese sul piano economico, politico e militare”. Di sicuro questa guerra senza fine sta forgiando un Israele diverso, senza alcun rapporto con quello dei padri fondatori.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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