È difficile non prendere sul serio quello che è successo nello spazio aereo polacco. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, tre anni e mezzo fa, è capitato più volte che droni o missili siano andati fuori rotta verso la Polonia o la Romania. Ma diciannove in una volta sola? Più che un errore, sembra un test della difesa antiaerea di un paese della Nato.

In ogni caso questa è l’idea della Polonia, che parla di “provocazione”, come fanno gli altri paesi della Nato che si sono mobilitati. Due aerei olandesi hanno partecipato insieme all’aviazione polacca alla caccia ai droni russi. Ma non è tutto: un aereo-radar italiano è stato attivato, un aereo per il rifornimento di carburante della Nato è stato fatto decollare e una batteria antiaerea Patriot è stata messa in funzione in Germania. Sembrava un’esercitazione della Nato, ma non lo era.

Quattro dei diciannove droni, i famosi Shahed iraniani ormai prodotti in Russia, sono stati distrutti. Potrebbe sembrare poca cosa, ma sono le ricadute politiche a essere enormi, come un incubo che diventa realtà.

Diciannove droni sono troppi per essere un errore, ma non sono abbastanza per far pensare a un attacco. Nei bombardamenti contro le città ucraine si usano ormai centinaia di questi apparecchi. Dunque l’ipotesi più plausibile è quella di un test per valutare la capacità di risposta della Nato e la disponibilità degli alleati della Polonia (o di qualsiasi altro paese di frontiera) a correre in aiuto. Un test, infine, anche delle reazioni statunitensi.

La solidarietà europea è stata immediata. Il 10 settembre la Polonia ha ringraziato i Paesi Bassi per l’intervento dei due F-35 che hanno partecipato alla prima risposta militare. I rappresentanti dei cinque principali paesi europei – Germania, Francia, Italia, Polonia e Regno Unito – si sono riuniti nella stessa giornata a Londra per discutere quello che definiscono “un nuovo livello dell’ostilità russa nei confronti dell’Europa” e per denunciare un’azione “senza precedenti”.

L’incidente ha evidenziato la scarsa preparazione della Nato. Cosa sarebbe successo se la Russia avesse lanciato un attacco in grande simile a quelli che subisce l’Ucraina? L’impatto sarebbe stato devastante.

La vicenda, effettivamente senza precedenti, fa crescere il sostegno a una difesa europea. Spinge gli stati del continente a ravvicinarsi e allarga il fossato con quelli che non vogliono fare gioco di squadra. Il 10 settembre il capo della diplomazia polacca Radoslaw Sikorski ha attaccato il primo ministro ungherese Viktor Orbán sfidandolo a condannare l’aggressione russa dell’Ucraina e della Polonia.

Questa drammatizzazione si percepisce anche nel discorso sullo stato dell’Unione pronunciato nello stesso giorno dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen davanti al parlamento di Strasburgo. Von der Leyen ha esordito con queste parole: “L’Europa combatte per l’integrità di un continente in pace”.

Molto contestata dopo l’accordo commerciale siglato con Donald Trump durante l’estate, che secondo un sondaggio pubblicato questa settimana dalla rivista online Le Grand Continent è criticato dalla stragrande maggioranza degli europei, la presidente ha evidentemente cercato di mostrarsi combattiva.

Ha parlato di un’Unione “indipendente” davanti alle “grandi potenze che hanno un atteggiamento ambiguo con l’Europa, quando non le sono apertamente ostili”. L’allusione agli Stati Uniti di Trump e alla Russia di Putin è evidente. Queste parole sono state pronunciate appena poche ore dopo l’incidente polacco: l’Europa è evidentemente con le spalle al muro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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