A ll’una di notte del 10 luglio, quando l’allarme aereo ha cominciato a suonare, Dartsja Ljuba è scesa nello scantinato del suo palazzo a Kiev, insieme al marito Roma e alle due figlie. Le forze russe avevano attaccato la città. Ljuba ha preso in braccio la figlia di sette mesi, Halyna, e poi ha svegliato Orysja, nove anni. Insieme hanno percorso in fretta tre piani di scale per andare a nascondersi in cantina. Subito dopo sono cominciate le esplosioni. Nel cielo sopra il quartiere di Podil risuonava un rumore fastidioso, il ronzio di un drone Shahed. Dalla strada arrivava il suono ritmico della contraerea ucraina che cercava di abbattere il drone. A un certo punto il rumore è cessato, per poi riprendere quando in cielo è apparso uno sciame di altri droni, troppo numerosi per contarli.
In tutta la capitale ucraina la gente si è rifugiata nelle stazioni della metropolitana e nei seminterrati dei palazzi, seguendo, per quanto possibile, l’indicazione delle autorità di posizionarsi tra due muri vicini. Lo scorso autunno, quando è aumentata la frequenza degli attacchi aerei russi, Ljuba ha attrezzato il seminterrato con brandine, sedie e un pouf. Ha anche acquistato una cassetta del pronto soccorso e un estintore.
Dopo un po’ di tempo finalmente Orysja si è addormentata, seguita da Roma e da Halyna. Ma Ljuba non riusciva a prendere sonno. Ha scritto un messaggio a un’amica: “Ho paura. Molti vicini che di solito non vengono nel seminterrato adesso sono qui con noi. È difficile sopportare le esplosioni. Sto impazzendo. Mi fa male il cuore”. Alle cinque del mattino ha riportato le figlie a casa. Un’ora dopo, la famiglia è tornata nel seminterrato per un attacco con missili balistici.
Esausta e confusa
L’esercito russo colpisce le città e i villaggi ucraini fin dall’inizio dell’invasione ordinata dal presidente Vladimir Putin il 24 febbraio 2022. Ma negli ultimi mesi i raid si sono moltiplicati. Secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, nella notte dell’11 luglio sono stati lanciati 597 droni e 26 missili russi. Quasi tutti sono stati intercettati dalla contraerea, ma un missile e venti droni hanno colpito cinque punti della città. Sono morte quattro persone. L’aumento degli attacchi ha una spiegazione tecnico-militare: il Cremlino ha intensificato la produzione di droni, allestendo appositamente nuove fabbriche. Ma c’è anche un motivo politico: da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, a gennaio, Washington ha assunto una posizione più conciliante con Mosca.
L’8 luglio il presidente statunitense ha annunciato che Washington ricomincerà a inviare armi a Kiev, ribaltando la decisione di fermare le consegne presa una settimana prima. Sei giorni dopo Trump ha annunciato l’immediato invio di missili Patriot, ha promesso la consegna di altre armi attraverso la Nato e ha minacciato “dazi molto duri”contro la Russia se entro cinquanta giorni non sarà siglato un accordo di cessate il fuoco. Alcuni commentatori hanno interpretato la mossa come il segnale che Trump si è stancato di Putin, colpevole di aver ripetutamente ignorato le proposte della Casa Bianca per un cessate il fuoco. Comunque sia, è evidente che le forniture di armi, abbastanza regolari durante la presidenza di Joe Biden, sono diventate più incerte. Mentre le truppe russe avanzano nell’est del paese, la situazione dell’Ucraina si fa sempre più precaria.
Kiev si è sempre affidata a Washington per ottenere i missili intercettori usati dai sistemi di difesa antiaerea Patriot. Ma le riserve dell’esercito ucraino si stanno rapidamente esaurendo, e i droni russi, progettati per seguire traiettorie sempre più imprevedibili, colpiscono l’obiettivo con maggiore frequenza.
E poi c’è il fatto che il numero degli attacchi russi è cresciuto in modo impressionante. Nel giugno del 2024 l’esercito di Mosca aveva lanciato 580 tra razzi e droni contro l’Ucraina; il mese scorso sono stati 5.438. Il 9 luglio sull’Ucraina si sono abbattuti 728 droni e 13 missili Kinžal e Iskander, il record per una sola notte dall’inizio della guerra. Il raid del 10 luglio su Kiev ha provocato due morti e 28 feriti. Secondo le Nazioni Unite, il numero di vittime civili non era mai stato così alto in tre anni di guerra. “È come il blitz su Londra, ma molto peggio. È un blitz che non finisce mai”, dice Ljuba, mentre prepara un caffè nel suo appartamento e manda giù un antidolorifico. A causa dei continui raid è esausta, paralizzata e confusa, come le altre madri del palazzo. “È una sensazione strana, una specie di delirio”, spiega. “Ti svegli la mattina e cerchi di fare cose normali, come portare i figli a scuola o fare il bucato. Ma sei stravolta”.
Nel marzo 2022 Ljuba ha lasciato la sua casa a Irpin, cittadina alle porte di Kiev, davanti all’avanzata dei carri armati russi. Ha passato un anno in un centro di accoglienza a Londra, dove la figlia Orysja ha frequentato le elementari. Poi sono tornate in Ucraina. “Mi mancava la famiglia”, spiega. A novembre Ljuba ha partorito Halyna e a causa dei bombardamenti ha dovuto trascorrere diverse ore nel rifugio dell’ospedale. Suo marito, Roma, fa il soldato. “Da quando c’è la guerra prendo antidepressivi. A fasi alterne”, racconta.
Una notte normale
La mattina del 10 luglio una coltre di fumo copre la capitale, mentre i residenti esaminano i danni dei bombardamenti. Un drone ha colpito vulytsja Sičovykh Striltsiv, una strada del centro, incendiando il tetto e l’ultimo piano dei palazzi. I resti del drone sono sistemati ordinatamente in un angolo. “La scorsa notte è stata terribile”, spiega Natalija Serhijivna, che fa la contabile nel palazzo di fronte a quello colpito. “I droni erano tantissimi. E un giovane poliziotto è stato ucciso”. Serhijivna ha passato la notte in una stazione della metropolitana. “La gente era stesa sul pavimento e sulle scale. I rifugi sono sempre pieni”, dice. “Abbiamo bisogno di una difesa antiaerea migliore. I paesi occidentali dovrebbero aiutarci Nessuno si preoccupa della nostra sicurezza”.
Alcuni operai riparano le vetrine di un negozio di cambiavalute e di un centro estetico. Quando le chiediamo di raccontarci gli ultimi bombardamenti, una delle estetiste, Alina, 24 anni, ci risponde così: “È una merda. La Russia è uno stato terrorista. Non siamo i primi a pagarne le conseguenze”. Poi ci racconta che mentre i droni le planavano sulla testa, lei navigava tra siti di notizie e social network. “Guardavo video di gattini su TikTok. Ho un gatto e questi filmati mi tranquillizzano”.
Per strada, accanto alla stazione della metropolitana di Lukjanivska, un drone ha scavato un cratere in una vecchia fabbrica. Sul lato opposto della via le lettere arancioni e verdi dell’insegna distrutta di un negozio di cosmetici sono appoggiate a una ringhiera. Alcune persone fissano assi di legno alle vetrine rotte. Il quartiere ospita molti rifugiati arrivati da aree del paese in cui i combattimenti sono più intensi. È stato bombardato più volte. Anche per questo gli affitti sono bassi.
Karina Obermeier, cittadina ucraina residente in Germania, è convinta che i danni peggiori i bombardamenti li stiano facendo sulle persone, soprattutto sui giovani. Vive a Monaco con il marito tedesco, Walter, ed è a Kiev per visitare alcuni parenti. “Conosciamo una ragazza di 16 anni che ormai non sorride più”, racconta. “Non si allontana mai dal padre. Prima della guerra era un’adolescente normale. Mio fratello ha sempre mal di pancia. E un’altra amica ha cominciato a bere”.
Secondo Ljuba i bombardamenti hanno creato un sentimento di condivisione tra le persone. Durante le ore trascorse nel rifugio ha chiacchierato con alcuni vicini. Hanno parlato di rimedi erboristici. Mentre Halyna dormiva, ha letto un libro e ha lavorato al computer. “I russi cercano di ucciderci. Ci attaccano senza sosta. È la tattica del terrore”, dice.
In tarda mattinata la situazione è piuttosto calma. Orysja mostra un album con le dediche dei compagni di scuola di Londra. Ci sono foto di gite alla National gallery e a Buckingham palace. “I miei insegnanti mi piacevano molto”, dice in inglese. Intanto Ljuba fuma una sigaretta in balcone. Vicino a lei un seggiolino per bambini è appoggiato su un giubbotto antiproiettile. Tra qualche giorno Ljuba e le bambine andranno nei Paesi Bassi per una vacanza. “Così Orysja potrà passare un po’ di tempo in una situazione normale. Ma torneremo in tempo per l’inizio della scuola”, spiega. In che modo la vita sarà diversa nei Paesi Bassi? “Immagino che dormiremo nel nostro letto per tutta la notte, vicino a una finestra, in un villaggio tranquillo”, risponde. ◆ as
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati