Quando Antonio Tricarico è stato convocato a ottobre in un commissariato e gli è stato detto che era indagato per diffamazione si è preoccupato, ma non è rimasto sorpreso. Tricarico alcuni mesi prima, infatti, aveva presentato una denuncia contro l’Eni, la principale azienda petrolifera italiana. Tricarico è il direttore della ong ambientalista ReCommon e sapeva che l’Eni di solito usa i suoi avvocati per mettere a tacere le critiche. In precedenza l’azienda si era limitata a richieste, in sede civile, di risarcimento per diffamazione, anche contro la ReCommon. Ma nel caso di Tricarico ha intentato una causa penale per alcune dichiarazioni fatte da lui durante un’intervista televisiva. “È una manovra intimidatoria contro di me, è sicuro. Non è una bella cosa e ha un impatto sul mio lavoro quotidiano”, spiega Tricarico, che sta valutando quante energie e risorse gli serviranno se si arriverà a un processo. “Ma credo che l’intimidazione sia a più ampio raggio”, aggiunge.

Le associazioni ambientaliste affermano che l’Eni ha ingaggiato una campagna giudiziaria per reprimere le critiche: dal 2019 l’azienda ha depositato almeno sei denunce per diffamazione contro giornalisti e ong. L’Eni, azienda quotata in borsa e di fatto sotto il controllo del ministero dell’economia italiano, è tra i maggiori inquinatori al mondo in termini di emissioni di gas serra. Prevede di aumentare la sua produzione di base del 3-4 per cento all’anno nel corso di questo decennio, nonostante le tabelle di marcia per fermare il riscaldamento climatico richiedano una rapida riduzione dell’uso di combustibili fossili.

“È una strategia internazionale adottata spesso dalle aziende del settore dei combustibili fossili”

I documenti processuali rivelano che l’Eni ha avviato varie azioni contro chi la critica. Tra i destinatari ci sono la Rai, Greenpeace e alcuni giornali. Secondo un’analisi condivisa in esclusiva con il Guardian da Aria, un’organizzazione di ricerca non profit, complessivamente l’Eni ha chiesto più di dieci milioni di euro di danni nelle diverse cause. L’ultima che ha intentato, invece, non prevede alcun risarcimento. I giudici si sono pronunciati contro l’azienda in tre casi, mentre un altro è stato risolto con un accordo transattivo. Altri due, tra cui l’indagine penale su Tricarico e una causa civile contro Green­peace e la ReCommon, sono in corso.

Cambio di passo

Secondo Simona Abbate, attivista di Green­peace, “l’Eni sta cercando di mettere a tacere il dissenso. È una strategia internazionale adottata spesso dalle aziende del settore dei combustibili fossili per ostacolare il movimento ambientalista”. Gli attivisti sostengono che le denunce sono esempi di “azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica”, note come Slapp, che possono intimidire e costringere al silenzio giornalisti e organi di controllo attraverso la minaccia di azioni legali che hanno scarse probabilità di successo. L’Eni nega le accuse. Ad aprile un gruppo di ong, tra cui Reporter senza frontiere e Transparency International, ha assegnato all’Eni il titolo di Slapp addict of the year (fanatica delle Slapp dell’anno) per le denunce per diffamazione. Le ong hanno messo l’accento sull’azione legale intentata dall’Eni nel 2024 contro Greenpeace e ReCommon, dopo che le due organizzazioni avevano provato a farla dichiarare responsabile di danni al clima.

Secondo i dati di Carbon Majors, che includono anche le emissioni prodotte dai consumatori che bruciano i combustibili dell’Eni, l’azienda è responsabile dello 0,46 per cento delle emissioni globali dalla rivoluzione industriale in avanti. La causa intentata dall’Eni mira a impedire alle ong di definire “criminali” le sue azioni o di usare un linguaggio simile nelle campagne di sensibilizzazione.

Un portavoce dell’Eni ha affermato che l’azienda “non ha solo il diritto, ma anche il dovere di rivolgersi all’autorità giudiziaria quando si trova di fronte a dichiarazioni false e diffamatorie che ledono la sua reputazione”. Secondo quanto dichiarato dall’azienda “è importante sottolineare che l’Eni non ha avviato alcuna causa Slapp contro gruppi ambientalisti, visto che non ha chiesto alcun risarcimento finanziario, ma solo la verità giudiziaria a cui ha diritto”. Nei precedenti processi per diffamazione persi dall’Eni, quasi tutti incentrati sull’acquisizione di una licenza petrolifera in Nigeria, l’azienda aveva chiesto un risarcimento di 350mila euro al Fatto Quotidiano e cinque milioni di euro alla Rai. L’Eni è stata assolta nel processo per corruzione avviato dalle denunce delle ong, inclusa ReCommon. Adesso che le battaglie contro l’inquinamento si intensificano, gli attivisti per il clima e le aziende petrolifere si rivolgono sempre più spesso ai tribunali. L’Eni ha intentato più cause contro i giornalisti e i gruppi ambientalisti di quanto abbiano fatto le altre grandi aziende petrolifere europee.

Tricarico sottolinea che, dopo i tentativi falliti dell’Eni di ottenere un risarcimento dai mezzi d’informazione, c’è stato un “cambio di passo”: ora l’azienda adotta metodi più sottili, senza chiedere più denaro. “L’Eni ha capito che queste richieste non bastavano a fermare le poche voci critiche, e per la verità ha avuto un esito piuttosto negativo in tribunale”, dice Tricarico. “La mia sensazione è che stiano passando a un approccio diverso, che potremmo definire Slapp 2.0”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati