Le misure decise negli ultimi tre anni per colpire le finanze del Cremlino e quelle degli oligarchi russi cari a Vladimir Putin hanno finito per mettere in crisi il Liechtenstein, il piccolo principato incastonato tra la Svizzera e l’Austria noto soprattutto per i suoi servizi finanziari che garantiscono il segreto e non fanno troppe domande sulla provenienza dei soldi. Il Financial Times scrive che il Liechtenstein è stato costretto a formare una task force d’emergenza per affrontare la crisi dei trust, i fondi fiduciari incaricati di gestire i soldi per conto di un cliente. Il problema, in particolare, riguarda i numerosi fondi che custodiscono le ricchezze di alcuni cittadini russi: queste aziende sono all’improvviso diventate degli “zombie” dopo che i loro amministratori si sono dimessi in massa lasciandole di fatto paralizzate.

La fuga dei dirigenti è dovuta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti e dall’Unione europea nel 2022 dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina. Il Liechtenstein le ha sempre adottate, pur non facendo parte dell’Unione europea, ma ha cominciato a risentirne nel 2024, quando l’amministrazione statunitense allora guidata da Joe Biden ha colpito varie entità con sede nel Liechtenstein e persone legate alla Russia. Washington, inoltre, ha minacciato l’applicazione di sanzioni secondarie su istituzioni finanziarie che lavorano con alcuni clienti russi anche se non erano colpite direttamente dalle misure. Nel settembre del 2024 l’autorità che supervisiona il mercato finanziario del principato, la Finanzmarkt Aufsicht (Fma), ha ordinato ai gestori di fondi fiduciari di porre fine ai legami con i russi. Da allora sono scattate le dimissioni in massa dei dirigenti, per i quali nessuno è riuscito a trovare dei sostituti.

La natura a dir poco opaca dei fondi fiduciari coinvolti nella crisi rende estremamente difficile sapere quanti soldi gestiscono. Secondo il Financial Times, custodiscono contanti per almeno cinque milioni di dollari, ma soprattutto miliardi di dollari in beni che includono yacht, aeroplani, immobili di lusso e patrimoni che orbitano in aziende finanziarie create appositamente per i beni di una famiglia, i cosiddetti family office. A Vaduz, la capitale del principato, sono preoccupati dal fatto che il Liechtenstein rischia di perdere il suo status di snodo finanziario affidabile, in grado di garantire tasse basse e di proteggere i clienti e i loro beni da ogni di tipo di rischio. Nel paese, che conta appena quarantamila abitanti, il settore finanziario contribuisce a un quinto del pil. Il Fondo monetario internazionale, inoltre, stima che la piazza finanziaria di Vaduz gestisca capitali cento volte più grandi dell’intera economia del principato.

Eppure, spiega il quotidiano tedesco Berliner Zeitung, negli ultimi anni il numero di fondazioni presenti nel Liechtenstein è passato da ottantamila a ventimila, ma si tratta comunque di una fondazione ogni due abitanti. Evidentemente ha cominciato a pesare il fatto di aver incentrato l’economia nazionale sulla protezione di capitali spesso provenienti dall’evasione o dall’elusione fiscale, se non addirittura da attività criminali. “Da anni”, scrive la Berliner Zeitung, “il Liechtenstein intreccia relazioni profonde con la Russia di Putin. Klaus Tschütscher, fino al 2013 capo del governo, un anno dopo aver lasciato la politica è diventato console onorario della Russia nel principato, carica che ha abbandonato solo nel 2022”.

A causa degli stretti contatti con Mosca, inoltre, sempre più gestori di fondi fiduciari del Liechtenstein finiscono nella lista delle sanzioni statunitensi. Un caso particolare è quello dello svizzero Anton Wyss, che nel 2024 è stato inserito dal dipartimento del tesoro di Washington tra le persone non gradite. Attraverso la sua azienda, l’Audax Consulting Trust Establishment, Wyss avrebbe svolto un ruolo centrale, sia in Svizzera sia nel Liechtenstein, nel far sparire i patrimoni e gli investimenti esteri di ricchi russi, con l’obiettivo si sottrarli alle sanzioni.

La crisi dei fondi fiduciari è anche un segnale della volontà del principato di trasformare la sua piazza finanziaria, cancellandone l’immagine di settore al servizio di oligarchi e in generale dei patrimoni opachi. Il suo, tuttavia, non è un caso isolato in Europa. Le sanzioni hanno messo in difficoltà anche altri stati del vecchio continente, in particolare la Svizzera e l’Austria. Uno studio della Banca centrale europea (Bce) sostiene che negli ultimi 25 anni i paesi dell’Unione europea hanno ampliato i loro affari con le autocrazie che perseguitano gli oppositori e calpestano i diritti umani. Affari che hanno permesso a questi regimi di moltiplicare le risorse disponibili per mantenersi al potere e condurre guerre, come quella della Russia contro l’Ucraina.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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