Alcuni ministri israeliani sono stati sanzionati come se fossero volgari oligarchi russi. Si tratta di una novità assoluta e di uno sviluppo che sarebbe stato impensabile fino a poco tempo fa.
Il 10 giugno il Regno Unito, il Canada, la Norvegia, l’Australia e la Nuova Zelanda hanno colpito i due personaggi più in vista dell’estrema destra israeliana: il ministro delle finanze Bezalel Smotrich e quello della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. I due sono accusati di avere incitato alla violenza i coloni israeliani contro le popolazioni palestinesi nella Cisgiordania occupata. Gli attacchi violenti sono aumentati del 1.200 per cento dal 7 ottobre 2023, con comunità perseguitate, uliveti distrutti e auto incendiate.
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Le sanzioni mostrano il peggioramento dei rapporti tra Israele e alcuni partner. Il genere di guerra condotto dallo stato ebraico a Gaza, il blocco umanitario e la ripresa a marzo dei bombardamenti a tappeto contro la popolazione provocano reazioni sempre più critiche. Quelli che all’inizio accettavano il diritto di Israele all’autodifesa dopo il 7 ottobre oggi ritengono indifendibile la violazione del diritto internazionale umanitario da parte del governo di Netanyahu.
Le sanzioni costituiscono un segnale d’allarme lanciato in direzione della società israeliana affinché prenda coscienza del fatto che la radicalità del suo governo sta progressivamente isolando il paese. Gli occidentali sono stati accusati dai paesi del sud globale di usare due pesi e due misure, tra l’inflessibilità mostrata nei confronti della Russia e la timidezza delle reazioni al trattamento orribile riservato ai palestinesi.
Al momento divisi, i paesi dell’Unione europea si esprimeranno presto su un rapporto della Commissione a proposito del trattato che lega l’Europa unita a Israele. Il mancato rispetto delle clausole sui diritti umani è evidente. Le conseguenze, invece, sono meno chiare e su di loro non c’è consenso. I paesi più impegnati nella difesa dei palestinesi potrebbero essere costretti a prendere decisioni unilaterali.
In questo contesto, il governo israeliano assume una posizione di sfida, anche perché può contare sul sostegno dell’amministrazione Trump. L’appoggio degli Stati Uniti conta evidentemente di più dei malumori degli europei.
Il 10 giugno l’ambasciatore di Trump in Israele Mike Huckabee, noto per la sua vicinanza ai coloni, ha dichiarato che se fosse creato uno stato palestinese dovrebbe essere situato all’interno di un paese musulmano, non in Cisgiordania e a Gaza. Per realizzare questa proposta sarebbe necessario un trasferimento forzato della popolazione, ovvero un crimine di guerra.
A otto giorni dalla conferenza organizzata a New York per discutere la soluzione dei due stati, che sarà copresieduta dalla Francia e dall’Arabia Saudita, le dichiarazioni dell’ambasciatore statunitense ricordano a tutti che Washington non sostiene più questa opzione, di cui l’attuale governo israeliano non vuole nemmeno sentire parlare.
Il 10 giugno, a Parigi, l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert e l’ex ministro degli esteri palestinese Nasser al Kidwa hanno espresso insieme il proprio sostegno alla soluzione dei due stati. Per il momento queste voci sono minoritarie e senza effetti, così come le sanzioni nei confronti dei due ministri incendiari. Tuttavia, considerando la situazione disperata dei palestinesi, queste prese di posizione hanno il merito di esistere e di rompere il silenzio assordante che circonda una tragedia che dura da troppo tempo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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