Il 17 aprile 2025, durante una puntata di una trasmissione del mattino sul canale greco Skai tv, il ministro delle migrazioni e dell’asilo Makis Voridis, ha dichiarato che “più di centocinquanta trafficanti” di rifugiati e migranti sono stati arrestati nei primi quattro mesi dell’anno. “Quasi ogni giorno viene arrestato un trafficante”, ha ripetuto su Action24 tv.

Ma un esame più attento della documentazione legale e delle pratiche giudiziarie solleva seri dubbi su questa dichiarazione, oltre che sull’uso del termine “trafficante”. Negli ultimi tre anni, il sito d’informazione greco Solomon ha seguito decine di processi per traffico di migranti sulle isole egee di Lesbo, Samo e Chio. Nella stragrande maggioranza dei casi, gli imputati erano richiedenti asilo arrivati in acque greche a bordo di gommoni sovraffollati. Il loro reato? Essersi trovati al timone o lì vicino.

Per nessuno degli imputati è stata dimostrata l’appartenenza a organizzazioni criminali. Eppure, sono stati accusati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, spesso in maniera arbitraria, solo per aver toccato il timone o per essersi seduti a prua. Sono stati processati in base a leggi contro il traffico di esseri umani che prevedono pene severe, spesso equivalenti a quelle per la criminalità organizzata o il terrorismo.

In questi casi, il diritto a un processo equo è quasi sempre negato. Lo sforzo di traduzione linguistica è approssimativo o assente del tutto, e l’assistenza legale è minima. Gli avvocati sono spesso nominati il giorno stesso dell’udienza e hanno a disposizione pochi minuti per consultare i fascicoli del caso.

Tra il 2014 e il 2019 sono stati documentati 48 processi di questo tipo, in media con condanne a 48 anni di carcere. I processi hanno avuto una durata media di 38 minuti, e alcuni non hanno superato i 15 minuti.

Nel giugno 2025, per esempio, sedici richiedenti asilo sono stati processati a Samo per traffico di esseri umani. Dieci di loro sono stati assolti grazie al sostegno di organizzazioni locali che offrono supporto legale (come lo Human Right Legal Project a Samo e il Legal Center di Lesbo) o di organizzazioni europee come Borderline Europe. Senza aiuti di questo tipo, si sarebbero probabilmente aggiunti alle centinaia di prigionieri che stanno attualmente scontando pene decennali.

Dal 2010 al 2015 circa, l’anno in cui più di un milione di rifugiati siriani ha raggiunto l’Europa attraverso la “rotta balcanica”, le imbarcazioni che trasportavano i rifugiati attraverso il mar Egeo erano spesso guidate da cittadini turchi. Ma con l’aumento degli arresti, la mafia turca dietro le reti di traffico ha iniziato a cercare delle alternative. Sempre più spesso a guidare le imbarcazioni erano i passeggeri stessi, costretti o scelti in modo casuale.

Minori al timone

Alcuni di questi casi sono tragici. Uno degli imputati, il richiedente asilo somalo Mohamad H., è stato accusato di aver provocato il ribaltamento della sua imbarcazione, nonostante le testimonianze di altri passeggeri abbiano confermato che aveva in realtà cercato di salvarli. Un altro accusato, Hassan, aveva preso il timone quando l’imbarcazione era ormai fuori controllo. Durante l’imbarco stava portando sulle spalle la madre, affetta da una grave disabilità.

Altri ancora sono stati incriminati semplicemente per aver usato il cellulare per la navigazione o per chiedere aiuto. Ad esempio, un uomo che provava ad attivare il gps del suo cellulare è stato accusato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare e condannato a più di 140 anni di carcere.

Gli stessi metodi vengono applicati nel nord della Grecia, dove i minori vengono spesso costretti a mettersi alla guida ed esposti al rischio di incidenti mortali. In ognuno di questi casi, le vere reti di traffico illegale non subiscono alcun danno. Le stesse dinamiche ci sono sulle rotte migratorie dalla Turchia all’Italia come su quelle dalla Libia all’Italia.

Secondo dati emersi in precedenza, in Grecia più di 2.200 persone sono state arrestate per accuse legate al traffico o al “favoreggiamento dell’ingresso illegale”. Il ministro Makis Voridis (che il 28 giugno è stato sostituito dal politico di estrema destra Thànos Plévris) ha affermato che una parte significativa dei detenuti in Grecia è composta da trafficanti di esseri umani. Questi presunti trafficanti rappresenterebbero il secondo gruppo più numeroso tra i detenuti.

In altri paesi dell’Unione europea la situazione non è molto diversa. Secondo un’inchiesta condotta in Italia, in almeno un migliaio di casi negli ultimi dieci anni i richiedenti asilo finiti in carcere sono stati arrestati perché erano al comando delle imbarcazioni di fortuna su cui viaggiavano. Tra il 2015 e il 2019, in Grecia sono stati registrati più di settemila arresti per accuse legate al traffico di migranti.

Chi sono davvero gli scafisti
Dal 2015 la strategia europea contro l’immigrazione irregolare si è concentrata sull’arresto dei cosiddetti scafisti, ma in dieci anni 2.500 persone sono state arrestate senza produrre nessun effetto sul traffico. Le loro storie.

Un altro problema ricorrente è la scarsa qualità delle deposizioni in tribunale. Solomon ha documentato numerosi casi in cui gli ufficiali della guardia costiera chiamati a testimoniare non avevano conoscenza diretta dei fatti. Le loro prove si basavano su relazioni scritte dai colleghi, senza alcuna possibilità di un controinterrogatorio.

Nel 68 per cento degli 81 casi esaminati da Borderline Europe in diverse regioni della Grecia i testimoni della polizia o della guardia costiera non si sono presentati in tribunale. Alcuni di questi processi hanno sono durati appena sei minuti.

Anche quando i richiedenti asilo fornivano informazioni dettagliate sui veri trafficanti – nomi, numeri di telefono, luoghi in cui si svolgevano i pagamenti – raramente le autorità seguivano queste piste.

Anche per il naufragio di Pylos del 2023, in cui sono morte annegate più di seicento persone, ci sono statte accuse infondate legate al traffico di persone, ed è stato il caso che ha attirato di più l’attenzione dei mezzi d’informazione. Nove sopravvissuti egiziani sono stati arrestati come trafficanti e incarcerati per un anno, anche se le autorità egiziane avevano informato la Grecia che si trattava di comuni passeggeri, non di trafficanti.

Un’inchiesta condotta da Solomon ha rilevato che questi uomini avevano pagato il loro posto come tutti gli altri. La loro incarcerazione, disposta nonostante le prove a loro discolpa, sottolinea l’incapacità del sistema di distinguere i veri trafficanti dalle loro vittime.

Le affermazioni del ministro Voridis sui 150 trafficanti arrestati in appena quattro mesi potrebbero essere tecnicamente corrette, ma solo secondo una definizione di “trafficante” che include i richiedenti asilo costretti a tenere il timone dei barconi. Molti di loro, infatti, erano minorenni o agivano sotto costrizione.

Per questo va messa in discussione non solo l’esattezza dei numeri, ma il fatto stesso che i numeri siano significativi. Se centinaia di “trafficanti” sono incarcerati, ma le reti di traffico continuano a fare affari, c’è qualcosa che non va nel modo in cui si affronta il problema.

Invece di smantellare l’attività dei trafficanti, questa politica criminalizza proprio le persone che sostiene di voler proteggere, trasformando le vittime in capri espiatori e riempiendo le carceri di persone che non avevano scelta.

Questo articolo è stato realizzato con il sostegno dello European media and information fund (Emif). Non riflette necessariamente le posizioni dell’Emif né dei suoi partner, la Calouste Gulbenkian foundation e lo European university institute.

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