Due giorni nella vita di due persone innamorate. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Michelle, 51 anni.
Il primo giorno
“Sono una persona molto istintiva, voglio andare via. I miei figli ormai sono grandi e felici. Così un giorno annuncio all’uomo con cui sto da vent’anni, in mezzo agli scaffali di un supermercato, tra le marmellate e i detersivi, che sto per andarmene. Non che lo lascio, no, ma che vado dall’altra parte dell’Atlantico a lavorare negli Stati Uniti.
Sono sull’aereo con ottanta chili di bagagli. Sono sicura che in America starò bene. A cinquant’anni avevo perso il gusto della seduzione. Ho i capelli lunghi, biondi, sono dimagrita, mi sento libera. Uno dei miei colleghi dà una festa per i suoi trent’anni. Io vengo da una cena importante con degli statunitensi originari del Medio Oriente, sono vestita elegante, con un bell’abito nero che risalta in mezzo a questa festa di hippy trentenni. Stanno tutti fumando canne, io non me ne sono mai fatta una in vita mia.
Il buffet è scadente, tutti sono ammassati nel patio a fumare. In un angolo c’è un tipo un po’ spento, insignificante, ma è abbastanza bello e ha delle mani magnifiche. È in piedi, appoggiato alla porta della cucina, vestito di marrone. Si chiama Mathieu e parla un francese pieno di anglicismi, è franco-statunitense. ‘My life is very boring’, la mia vita è molto noiosa, mi dice subito. Gli faccio delle domande sulle persone che sono alla festa: chi sono? Perché sono qui? Giocano tutti nella stessa squadra di baseball.
Mi rendo conto che non riesce a sostenere la conversazione, fa fatica a ragionare, ci mette del tempo a rispondere, e spesso dice cose non hanno molto senso. Penso che sia colpa delle canne, che sia un po’ rallentato dalla cannabis. La serata che abbiamo passato a parlare sta per finire e gli chiedo se può riaccompagnarmi a casa. In auto, si scusa continuamente per la sua vita insignificante, la sua macchina da sfigato, la sua mentalità da perdente molto poco statunitense. La sola cosa che non critica sono i suoi guanti: fa una lunga digressione sui suoi guanti di cuoio ai quali tiene molto. A quanto pare ha le sue fissazioni.
Gli propongo di salire da me, ma rimane interdetto, il suo corpo magro si irrigidisce di colpo: ‘Ah no, non riesco a farlo la prima sera! Anche se tutto funziona come si deve’, mi rassicura. La notte trascorre dolcemente, la passa aggrappato a me, mi dice che non fa l’amore da molto tempo. Mi sembra impossibile, un tipo così bello e piacevole. ‘È la prima volta che mi dicono che sono bello’.
Il giorno dopo gli scrivo: ‘Ti va di rivederci?’. Mi piace, ma non cerco una relazione seria: abbiamo vent’anni di differenza, non sono una cougar, di solito evito gli uomini giovani, non mi interessano. Ma per lui non è un problema, ha avuto solo tre donne e vive ancora con i suoi genitori in una grande casa impregnata della tipica atmosfera ‘vieille France’ degli emigrati francesi. Fa fatica a farsi degli amici, ecco perché tiene tanto al suo allenamento di baseball del sabato mattina alle 10”.
L’ultimo giorno
“‘Penso di avere dei tratti autistici’, mi spiega durante una di quelle giornate passate a letto a non fare nulla, parlando, fumando e facendo l’amore. Avevo notato che era molto bravo con i numeri ma negato con l’ortografia, e che quando tornava a casa doveva assolutamente cucinare tagliando meticolosamente tutte le verdure. E la sua assoluta mancanza di flessibilità: abbiamo un appuntamento il martedì sera, mi libero prima e gli propongo di vederci il lunedì, ‘ma Michelle, è impossibile, abbiamo deciso di vederci martedì e non lunedì’.
Oppure la volta che aveva organizzato un fine settimana in uno chalet in mezzo alla foresta negli Appalachi. Non aveva mai fatto una cosa del genere in vita sua, organizzare un fine settimana fuori. ‘Michelle, non sono capace’. ‘Vedrai che imparerai’. E in effetti è riuscito a prenotare l’albergo. Quando arriva da me, però, tutte le sue cose sono in un sacchetto di plastica. Io resto interdetta, ma preferisco non fare osservazioni: ho vent’anni di più ma non sono sua madre, non spetta a me comprargli una borsa. Non voglio essere quella che gli fa la dichiarazione dei redditi, la combattente che gestisce tutto, voglio solo aiutarlo a sbocciare. È il mio amante, non mio figlio, così partiamo con il sacchetto di plastica.
La notte, nello chalet, mentre dormo al suo fianco, mi manda un lungo messaggio su WhatsApp in cui mi parla di sensucht, una parola tedesca intraducibile che sarebbe una sorta di ‘desiderio di desiderare’. Gli rispondo con un messaggio che finisce così: ‘È una follia, certo, e come tutte le follie può andare a sbattere contro la vita. Ho bisogno solo di libertà. Dammela’.
Al tempo stesso mi rendo conto che c’è un problema. Ogni giorno mi dico che devo lasciarlo, che deve vivere la sua vita e io la mia, che tutto questo non ha alcun senso. Non posso dargli figli e lui ne vuole. Lo sente, lo sa, mi parla di altre ragazze, della sua ex che vuole rivedere, della sua coinquilina che ci prova con lui, ora che non vive più con i genitori. ‘È arrivato il momento di farla finita, devi vivere qualcosa di diverso, sei bello, una donna di cinquant’anni può innamorarsi di te, ti ho rimesso in sesto, adesso tutto è possibile per te’, ripeto nella mia testa quello che gli dirò quella sera.
Ovviamente le cose non vanno così. È la nostra serata più bella, torniamo a casa mia, ci sdraiamo sulla terrazza a guardare le stelle e i petali dell’albero in fiore che cadono su di noi. Non riesco a dirgli nulla. Ci riprovo due giorni dopo. ‘Dobbiamo vederci Mathieu’. ‘Ma questa sera è impossibile, ci sono dei temporali, non possiamo uscire’. Vado sotto casa sua in auto, lui esce con due ombrelli anche se non piove e mi chiede di spostare la macchina da sotto un albero per non rischiare di rimanere fulminati.
In macchina gli dico che dobbiamo separarci. ‘Devi vivere la tua vita’. La pioggia picchia rumorosamente sul parabrezza, ci stringiamo forte, è finita. ‘Dimmi una cosa, quando ti scriverò, tu mi risponderai?’. ‘No, non è possibile, non possiamo rimanere amici’, gli rispondo. Lui scende dall’auto, io riparto, distrutta. Di fatto Mathieu ha riportato alla luce una sensibilità che per tanti anni avevo represso. Ero sempre stata combattiva e grintosa, lui ha aperto una porta verso qualcos’altro, verso la poesia. Ci siamo lasciati amandoci, la nostra storia era una barca ormeggiata in un porto e io ho tagliato netto, con tristezza, ma senza distruggere tutto. Non ho impedito a qualcuno di vivere. La sua coinquilina finirà per accalappiarlo. E i ricordi di questa storia mi resteranno impressi nella memoria per almeno vent’anni”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore. Qui ci sono tutte le puntate.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it