Due giorni nella vita di due persone innamorate. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Nathalie, 46 anni.
Il primo giorno
“Certe storie sono come alcuni piatti cucinati. Si mangiano una prima volta, appena preparati, e poi, quando tornano in tavola riscaldati, sembrano più buoni. Ma è raro che succeda davvero.
La prima volta con lui è classica. Siamo giovani, appena usciti dall’università, ci incontriamo a casa di amici comuni. In seguito ci rivediamo spesso, lui è bello, attraente, riccio, mi piace fisicamente. All’inizio non siamo mai davvero soli, siamo sempre circondati da altre persone.
Una sera si lancia, andiamo al ristorante e poi da lui. Un vecchio palazzo scuro in una stradina pedonale. Un appartamento spartano, con le imposte chiuse, lui è un po’ impacciato. Due poltrone, niente divano, una tv. Mi propone di vedere Mio zio Beniamino, un film degli anni sessanta con Jacques Brel. È un appassionato di cinema, conosce un sacco di battute a memoria. Ci avviciniamo, ma è così timido che mi chiede il permesso di baciarmi. È dolce, tenero, ma bisogna accompagnarlo, non è il tipo che prende l’iniziativa o che decide.
Cominciamo una relazione, ma ogni settimana devo andare a lavorare a Parigi, mentre lui rimane nella nostra città. Ogni volta che siamo alla stazione mi si spezza il cuore, ma lui non sembra provare la stessa tristezza. Gli faccio delle domande sulla nostra relazione, sul fatto che potrei tornare a vivere nella nostra città: ‘Ma scherzi, non devi tornare in provincia, devi rimanere a Parigi’, mi risponde senza neanche pensare di raggiungermi.
La nostra relazione comincia a logorarsi, lui è completamente bloccato. Alla fine sono io a lasciarlo, perché non si va avanti. Gli anni passano, ma lui continua a mantenere i contatti, mi manda delle lettere, dei collage, è un artista.
Sette anni dopo vado da sola a un concerto, a un festival della nostra città. Sono sulle gradinate, lo vedo con un suo amico e con la sua camicia a quadri in mezzo alla folla. Ha la stessa faccia, come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Lui non mi ha visto, ma io scendo a salutarlo in uno slancio sincero e con il reale piacere di rivederlo. Sì, in quel momento ho capito che ci si può innamorare due volte della stessa persona. ‘Sono cambiato, mi impegno di più’, precisa subito lui, come per contraddire quella regola che vuole che le stesse cause abbiano gli stessi effetti. O che la fatalità sia sistematica. Ha una compagna, ma la lascia rapidamente. Torniamo insieme, questa volta andrà bene, penso, siamo cambiati”.
L’ultimo giorno
“Le sedie di velluto della sala d’attesa del notaio sono più comode di quelle in legno del giudice per la mediazione familiare. Me ne rendo conto un pomeriggio, seduta accanto a lui, in una vicinanza fisica che non avevamo da molto tempo, siamo a una sedia di distanza. La sua mano che mi sfiora, il suo desiderio, tutto di lui mi sembra insopportabile.
Mi racconta che si è comprato una macchina nuova. Facciamo il punto sulle vacanze scolastiche di nostra figlia, starà con lui la prima settimana, e con me la seconda.
All’interno di un ufficio ovattato quanto le poltrone dell’ingresso, il notaio fa scorrere la nostra vita di coppia sul suo tablet: patrimonio, prestiti, bisogna chiudere tutto. Lui è sempre lo stesso, timido, poco deciso e un po’ squattrinato, non osa chiedere quando gli sarà versata la sua parte. In imbarazzo, pronuncia frasi troppo lunghe usando parole complicate.
Ci separiamo per le stesse ragioni della prima volta. Solitario, vive rintanato dietro al suo computer, bloccato dalle sue difficoltà che gli impediscono di affrontare il mondo esterno. Sono sempre io a occuparmi di tutto, della spesa, della bambina malata a scuola, di aprire all’idraulico. Il desiderio è scomparso, sono rimasti solo i litigi. Siamo in due ma di fatto sono da sola. Non sopporto più la sua presenza, la sera a casa ho voglia di stare sola.
Una mattina decido che quella sera sarebbe stata la fine. Aspetto tutto il giorno, torno a casa, preparo la cena, vado a letto senza aver realizzato il mio obiettivo. Allora mi rialzo, in camicia da notte e con i capelli arruffati, per parlargli. Lui è ancora sul divano in salotto. ‘Non voglio più vivere con te. Rimango in ufficio più del dovuto per evitarti, non è più possibile’.
Io piango, lui è calmo. Dietro al suo computer è addirittura impassibile. ‘Cosa vuoi che ti dica? Mi sono reso conto che c’è un problema ma cosa vuoi che faccia’. Non si batte, non mi dice che mi ama o che cambierà, o anche solo che sono insopportabile. Anche nella rottura è assente, docile. Gli parlo della banca, del giudice, del notaio: ‘Sì, sì, mi dirai cosa preferisci fare’.
Poi si gira, si rimette le cuffie, come fosse un hikikomori, gli adolescenti giapponesi che non escono più di casa. Non voglio credere che le persone non possano cambiare, ma l’ho lasciato due volte per le stesse ragioni. All’epoca la mia amica Stéphanie mi aveva detto che i piatti riscaldati non sono mai una buona cosa, soprattuto se non ci aggiungi niente. Il mio amico Benjamin l’aveva contraddetta sostenendo che il giorno dopo la blanquette è più buona. Sì, tranne quando si attacca sul fondo della pentola e si brucia. Non invecchieremo insieme”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore. Qui ci sono tutte le puntate.
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