Dopo quasi dieci anni di trattative, l’11 aprile a Londra i paesi dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo) hanno approvato un accordo per ridurre le emissioni di gas serra delle navi commerciali.
Il trasporto marittimo, che rappresenta circa il 3 per cento delle emissioni globali di gas serra, è uno dei settori economici che hanno fatto meno progressi sul piano della decarbonizzazione. Le navi da carico sono alimentate a olio combustibile pesante (bunker oil), ultimo residuo della raffinazione del petrolio, che è molto economico ma ha un tasso di emissioni elevatissimo.
Esistono alternative a minore impatto, come il gas naturale liquefatto, e sono allo studio tecnologie che eliminino del tutto il ricorso ai combustibili fossili, ma queste soluzioni comporterebbero un significativo aumento dei costi, che secondo le compagnie ricadrebbe sui consumatori e contribuirebbe alla ripresa dell’inflazione.
L’accordo, che dovrebbe entrare in vigore nel 2028, stabilisce due obiettivi per le navi al di sopra di una certa stazza. Il più basso prevede che le navi riducano del 4 per cento il tasso di emissioni per unità di energia consumata rispetto ai livelli del 2008, una soglia che sarà portata all’8 per cento nel 2030. Il più alto prevede riduzioni del 17 e del 21 per cento.
Le navi che non rispetteranno la soglia più alta dovranno pagare cento dollari per tonnellata di anidride carbonica in eccesso, che salirà a 380 dollari a tonnellata per quelle che superano anche la soglia più bassa.
Le minacce degli Stati Uniti
Queste somme potranno essere versate direttamente all’Imo, che le userà per finanziare la decarbonizzazione del settore, oppure per acquistare crediti di emissione dagli operatori delle navi che resteranno al di sotto delle soglie.
L’accordo dovrebbe comportare una riduzione delle emissioni del settore dell’8 per cento entro il 2030, quindi non abbastanza da rispettare gli obiettivi fissati in precedenza dall’Imo, che prevedono una riduzione del 20 per cento entro il 2030 e l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050.
Le richieste degli stati più ambiziosi sono state ridimensionate per cercare di superare l’opposizione di alcuni paesi, tra cui i grandi esportatori come la Cina e i principali produttori di petrolio. Queste concessioni non sono state abbastanza, dato che l’Arabia Saudita ha chiesto che l’accordo fosse sottoposto a votazione, un caso molto raro per l’Imo.
Resta da vedere come si comporteranno gli Stati Uniti, che all’ultimo momento si erano schierati contro l’accordo e avevano minacciato gli stati che avessero votato a favore di non meglio precisate “misure reciproche”.
Ma anche se Washington dovesse decidere di non rispettare le nuove regole non farà molta differenza, dato che solo 178 navi da trasporto battono bandiera statunitense, e rappresentano lo 0,57 per cento del tonnellaggio della flotta commerciale mondiale.
Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta
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