Dopo quasi cinque mesi di attività e almeno 2.615 palestinesi uccisi all’interno o nelle vicinanze dei siti di distribuzione degli aiuti, la Gaza humanitarian foundation (Ghf), la fondazione sostenuta da Israele e dagli Stati Uniti e contestata da Nazioni Unite e ong, ha chiuso i battenti. Una volta entrato in vigore il cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, il 10 ottobre, sono stati abbandonati almeno tre centri gestiti dalla Ghf tra la zona di Rafah, nel sud, e il corridoio Netzarim, nel centro della Striscia. Quello più a nord, noto come Sds4, è stato smantellato mentre le truppe israeliane si ritiravano dalla zona, che in base al piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump non è più sotto il loro controllo. Immagini satellitari pubblicate dalla Bbc mostrano tracce di pneumatici, terra smossa e detriti sparsi nel luogo dove sorgeva il complesso.

Hoda Goda, un’abitante della Striscia, ha raccontato all’Associated Press (Ap) di aver visto alcuni palestinesi demolire le strutture e portare via legno e recinzioni metalliche. Un portavoce della Ghf ha assicurato che le attività non sono finite e si tratta piuttosto di “cambiamenti tattici” e “chiusure temporanee”. “Non ci sono modifiche del nostro piano a lungo termine”, ha detto all’Ap parlando in condizione di anonimato, come prevedono le regole dell’organizzazione. La Ug solutions, l’azienda privata statunitense responsabile della sicurezza dei siti della Ghf, ha fatto sapere di essere pronta a “rispondere a qualsiasi esigenza di sicurezza possa sorgere”.

L’accordo approvato con la mediazione degli Stati Uniti non prevede alcun ruolo per la Ghf nella consegna e nella distribuzione degli aiuti umanitari, che sono completamente affidati alle Nazioni Unite – in particolare all’Unrwa, l’agenzia che si occupa dei rifugiati palestinesi – e alle ong internazionali. Middle East Monitor riferisce che il destino della Ghf è stato uno dei punti di dibattito tra le parti durante i negoziati per arrivare all’accordo sul cessate il fuoco.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “aveva insistito per tenere in piedi la Ghf e ridispiegarla insieme all’esercito in ritirata, per poter preservare il controllo di Israele sui rifornimenti umanitari e consolidare l’organizzazione come sostituto permanente degli organismi delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni umanitarie. Tuttavia, la delegazione palestinese e i mediatori hanno fermamente respinto qualsiasi prosecuzione del suo lavoro”.

Uno strumento oscuro

Il Times of Israel sembra confermare questa ricostruzione e cita un documento sulle questioni umanitarie, di cui ha ottenuto un estratto,allegato al piano statunitense: “Le agenzie delle Nazioni Unite, altre organizzazioni, la Mezzaluna rossa e i paesi che operano nella Striscia riceveranno e distribuiranno gli aiuti”. Il giornale nota che il riferimento ad “altre organizzazioni” lascia aperta la possibilità di un futuro coinvolgimento della Ghf. Secondo un diplomatico arabo, queste parole sarebbero state inserite per accontentare Israele, che avrebbe respinto una formulazione che escludeva esplicitamente il ruolo della Ghf.

Qualunque sia il futuro dell’organizzazione, il suo nome resta legato a quella che Middle East Monitor definisce “una pagina nera del lavoro umanitario”. Non era mai successo prima che gli aiuti fossero militarizzati e politicizzati in modo così esplicito, servendo gli obiettivi di una parte in conflitto, con la creazione di complessi fortificati sorvegliati da soldati e agenti per la sicurezza esterni, che non esitavano a sparare sulla folla di disperati che accorreva in cerca di viveri e generi di prima necessità, forniti in numeri sempre insufficienti. La Gaza humanitarian foundation, accusa il sito panarabo, non è stata altro che “uno strumento nella politica di riduzione alla fame” attuata da Israele nella Striscia di Gaza. Nell’ultimo mese l’organizzazione ha distribuito meno di venti camion di aiuti.

I soldati israeliani hanno sparato a chi andava in cerca di aiuti
Un’inchiesta di Haaretz ha rivelato che i comandanti dell’esercito hanno ordinato di aprire il fuoco sui palestinesi vicino ai centri di distribuzione delle provviste alimentari.

Anche la struttura e il finanziamento della Ghf sono rimasti sempre un po’ oscuri. Solo gli Stati Uniti hanno stanziato fondi per l’organizzazione, annunciando a giugno un finanziamento da 30 milioni di dollari. Tuttavia, due mesi dopo, il dipartimento di stato ha ammesso che solo la metà della cifra era stata trasferita e non ha ancora confermato l’invio dei restanti 15 milioni. Secondo il Times of Israel alcune fonti della Ghf hanno riferito di un finanziamento ricevuto da un paese dell’Europa orientale, che però avrebbe chiesto di rimanere anonimo. Inoltre è stato dimostrato che diversi funzionari e imprenditori vicini a Netanyahu hanno avuto un ruolo nell’apparato dell’organizzazione.

Un’inchiesta pubblicata a settembre dalla Bbc, inoltre, ha rivelato che alcuni affiliati all’Infidels motorcycle club, un gruppo di motociclisti statunitensi di estrema destra noto per la sua retorica islamofoba, erano stati reclutati dalla Ug solutions per gestire la sicurezza nei siti della Ghf. Molti di loro sfoggiavano distintivi con croci o tatuaggi con la scritta “1095”, in riferimento alla data della prima crociata, mentre controllavano la folla durante la distribuzione degli aiuti. Erano pagati circa 980 dollari (850 euro) al giorno, spese incluse. Secondo le testimonianze, in diverse occasioni hanno aperto il fuoco sui civili affamati.

Gli autori dell’inchiesta, Andy Verity, Tom Beal e Will Dahlgreen, raccontano di aver contattato il club per email per chiedere un commento al loro articolo. Il leader del gruppo, Johnny “Taz” Mulford – un ex sergente dell’esercito statunitense condannato per cospirazione finalizzata alla corruzione, furto e false dichiarazioni alle autorità militari – ha chiesto agli affiliati di non rispondere alle richieste della Bbc, ma ha inavvertitamente incluso l’indirizzo dell’emittente britannica in un’email collettiva, rivelando i contatti di tutti gli altri, che così sono stati identificati. Uno di loro, Josh Miller, aveva pubblicato la foto di un gruppo di contractor che sfoggiava uno striscione con su scritto: “Make Gaza great again”.

In attesa al confine

A dodici giorni dall’inizio del cessate il fuoco, la situazione umanitaria nella Striscia resta critica, hanno avvertito le organizzazioni internazionali. Israele continua a bloccare l’ingresso dei convogli accusando Hamas di violare i termini del cessate il fuoco perché non ha ancora restituito tutti i corpi degli ostaggi morti. Finora ne ha consegnati quindici su 28. Il gruppo estremista ha avvertito che il recupero è difficile a causa della mancanza di grandi macchinari per scavare nell’enorme volume di macerie creato dai bombardamenti israeliani, sotto le quali si stima che siano sepolti anche i corpi di diecimila palestinesi.

Decine di migliaia di tonnellate di viveri e prodotti di prima necessità sono stati caricati su camion in attesa ai confini dei vicini Egitto e Giordania. Le autorità israeliane, però, continuano a tenere chiuso il valico di Rafah con l’Egitto. Quello di Kissufim, tra Israele e Gaza, è uno dei pochi a consentire l’ingresso degli aiuti e i camion si mettono in fila dalle prime ore del mattino, ma molti non sono autorizzati a entrare o sono costretti a fare marcia indietro a causa delle rigide restrizioni sui prodotti consentiti.

L’accordo di cessate il fuoco prevede l’ingresso di seicento camion di aiuti al giorno, ma meno della metà riesce a entrare. L’accesso è particolarmente difficile nel nord della Striscia, bersaglio della grande offensiva israeliana lanciata ad agosto. Le strade sono impraticabili e parte del territorio è ancora sotto il controllo dell’esercito israeliano. I due principali punti di passaggio verso il nord della Striscia, Zikim ed Erez, restano chiusi.

Nel centro e nel sud dell’enclave la situazione è leggermente migliore e nove panifici sostenuti dalle Nazioni Unite hanno ripreso le attività. I camion sono entrati dal valico di Kerem Shalom, anche se il numero esatto è difficile da calcolare. Molte cucine comunitarie hanno riaperto grazie all’ingresso di combustibile e viveri. Secondo un resoconto dell’ufficio umanitario delle Nazioni Unite (Ocha), l’acqua è distribuita in 1.440 punti di raccolta in tutta la Striscia, un aumento rispetto ai circa 1.200 di prima del cessate il fuoco. Nove organizzazioni che forniscono servizi di protezione e sostegno agli sfollati hanno ripreso a operare, così come quattro spazi dedicati ai servizi per l’infanzia e tre a donne e ragazze.

Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.

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