Lo shutdown si è concluso con un accordo che ha premiato la strategia di Trump – fare più danni possibili aspettando che siano gli avversari a cedere per primi – e ha aggravato la spaccatura tra i democratici: c’è chi pensa che sia stata una disfatta strategica e morale, e chi invece è convinto che alla lunga sarà il presidente a rimetterci. Di questo ho parlato nella puntata di venerdì del podcast il Mondo. Qui vorrei provare a dare un po’ di contesto sul tema della sanità, al centro dello scontro tra i due partiti.

La maggior parte degli statunitensi ottiene la copertura sanitaria attraverso il proprio datore di lavoro: l’azienda acquista una polizza per i dipendenti e ne paga una parte significativa del costo, mentre il resto viene trattenuto dalla busta paga; i lavoratori possono scegliere tra diversi piani e spesso la copertura è estesa anche ai familiari.

Poi ci sono i tanti americani, circa 24 milioni, che stipulano un’assicurazione nell’ambito dell’Obamacare, il programma pubblico creato da Barack Obama ed entrato in vigore nel 2011. In questo caso il governo si fa carico di una parte del premio attraverso dei sussidi che vanno direttamente alla compagnia assicurativa, che può così offrire premi più bassi agli utenti; più il reddito è basso, più il sussidio è generoso.

Per circa la metà delle persone che hanno un’assicurazione tramite il datore di lavoro i premi crescono ormai da molto tempo. Le tariffe sono più che raddoppiate rispetto al 2010, e sono cresciute in media di un altro 6 per cento nel 2025, fino a circa 27mila dollari all’anno per la copertura estesa al nucleo familiare. Un aumento del 26 per cento rispetto al 2020.

Questa dinamica fa danni a cascata. Da una parte indebolisce i redditi dei lavoratori e contribuisce alle disuguaglianze, perché le famiglie afroamericane e ispaniche finiscono per destinare una parte sempre maggiore del loro reddito al pagamento dei premi dell’assicurazione sanitaria rispetto alle famiglie bianche, ritrovandosi con meno soldi in tasca. Dall’altra parte, i datori di lavoro tendono a trasferire parte dei costi aggiuntivi sui dipendenti, aumentando trattenute in busta paga oppure offrendo assicurazioni che coprono meno prestazioni mediche. Le ricerche suggeriscono anche che quando aumentano i costi sanitari, le aziende spesso offrono meno posti di lavoro o bloccano gli aumenti salariali, con conseguenze rilevanti sul mercato del lavoro e sull’economia.

Ma potrebbe andare molto peggio a chi stipula l’assicurazione attraverso l’Obamacare. I repubblicani si rifiutano di prolungare i sussidi per rendere più accessibili le polizze (motivo per cui i democratici hanno fatto iniziare lo shutdown), e di conseguenza si prevede che da gennaio 24 milioni di americani vedranno crescere i costi, con picchi del 30 per cento, costringendo tanti a pagare di più per curarsi, a entrare nella schiera dei “sottoassicurati” (chi ha una qualche forma di assicurazione sanitaria che non offre una protezione completa) o a rinunciare del tutto all’assicurazione.

Circolo vizioso

Non è difficile immaginare che la sanità sarà al centro delle elezioni di metà mandato del prossimo anno. In un contesto generale di grande preoccupazione per i rincari, anche per via dei dazi voluti da Trump, l’aumento del costo delle cure mediche è un tema sensibile. I repubblicani ancora dotati di un po’ di buon senso ne sono consapevoli e hanno chiesto al partito di fare qualcosa. Ma la soluzione proposta finora potrebbe creare un problema ancora più grande.

Secondo Politico, i repubblicani vorrebbero dirottare i sussidi, oggi versati alle compagnie assicurative, direttamente nelle tasche dei cittadini. L’obiettivo dichiarato è dare agli americani maggiore libertà nella scelta della copertura, ma economisti ed esperti del sistema sanitario temono che la misura possa creare un sistema sanitario ancora più disfunzionale: i cittadini più giovani e sani userebbero i sussidi per comprare polizze economiche e poco regolamentate – chiamate junk plans, piani spazzatura, che non coprono le persone con malattie preesistenti né garantiscono i benefici minimi previsti dall’Obamacare – e nel mercato pubblico resterebbero le persone più anziane e malate.

Questo squilibrio farebbe salire rapidamente i premi, spingerebbe altri assicurati a uscire e, a un certo punto, potrebbe portare anche le compagnie assicurative a ritirarsi, innescando la cosiddetta death spiral, il circolo vizioso che rischia di far collassare il sistema.

Per la verità è da tempo che sempre più persone, frustrate da costi insostenibili e dai rifiuti delle assicurazioni, stanno abbandonando il sistema sanitario tradizionale. In molti casi aderiscono agli health cost-sharing ministries: gruppi che raccolgono contributi mensili e li usano per coprire le spese mediche degli iscritti. Nate come alternativa religiosa per chi rifiutava l’assicurazione, queste organizzazioni si sono progressivamente secolarizzate e sono cresciute molto negli ultimi decenni, soprattutto dopo l’introduzione dell’Obamacare.

Il numero di iscritti è passato da poche centinaia di migliaia a circa 1,7 milioni nel 2023. Questi programmi però non sono assicurazioni: non garantiscono i rimborsi, non coprono le persone con malattie preesistenti, possono escludere cure come quelle per la maternità, molti farmaci o emergenze e operano al di fuori delle regole che proteggono gli assicurati. Ci sono stati tanti casi di persone rimaste con decine di migliaia di dollari di debiti dopo che i gruppi di cui facevano parte si sono rifiutati di coprire le spese mediche, ma le autorità di controllo hanno poco margine per intervenire, perché almeno trenta stati hanno esentato per legge queste organizzazioni dalla supervisione.

Spesso in questo circuito parallelo operano anche le direct primary care clinics, gruppi di medici che, proprio come le persone che aderiscono agli health cost-sharing ministries, cercano di uscire dal sistema sanitario convenzionale, non accettando le assicurazioni tradizionali. La crescita di queste realtà riflette la frustrazione diffusa verso un contesto che rende le cure inaccessibili per molti, in cui la sanità è trattata come un prodotto commerciale e i costi non vengono ripartiti sull’intera popolazione ma su gruppi sempre più piccoli, rendendo il sistema complessivamente più fragile e più costoso.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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