Domani a New York si vota per eleggere il nuovo sindaco, e Zohran Mamdani – giovane socialista musulmano di origini indiane e ugandesi – resta favorito. Se dovesse vincere, il merito sarebbe in gran parte di un programma politico audace e vicino ai newyorchesi più colpiti dal caro vita. Ma a spianargli la strada ha contribuito anche la debolezza del suo principale rivale, Andrew Cuomo, erede malconcio di una dinastia politica in un’epoca in cui molti elettori diffidano delle élite tradizionali; e Mamdani sarà probabilmente aiutato anche dal candidato repubblicano, Curtis Sliwa, che potrebbe sottrarre voti al fronte moderato.
In quanto terzo incomodo, di Sliwa si è parlato poco, ma la sua storia merita di essere raccontata, perché descrive la parabola di New York degli ultimi decenni come, e forse di più, di quelle di Mamdani e Cuomo.
Da più di quarant’anni Sliwa incarna, nel bene e nel male, le paure, le trasformazioni e le contraddizioni della città. Nato nel 1954 da una famiglia polacco-italiana di Canarsie, nel distretto di Brooklyn, è cresciuto in un quartiere operaio colpito duramente dal declino industriale. Ragazzo energico e carismatico, negli anni settanta lavorò come manager notturno di un McDonald’s nel Bronx, il distretto della città che in quegli anni era il simbolo del degrado urbano. Secondo la storia tramandata fino a oggi, il quartiere era così pericoloso che i dipendenti del fast food si presentavano al lavoro pronti ad affrontare risse con i clienti praticamente ogni sera; Don Chin, un altro manager, ha raccontato che tenevano dei pastori tedeschi incatenati sul terrazzo del locale.
Sliwa creò un gruppo chiamato prima “Rock Brigade” — dal suo soprannome, the Rock — e poi Magnificent 13, che si dedicava a “ripulire” la città, sia in senso letterale, togliendo i rifiuti dalle strade, sia metaforico, con pattugliamenti nella metropolitana di notte. I “volontari” indossavano giacche di raso rosso e baschi rossi. Nel 1979, quando il numero dei membri — per lo più giovani afroamericani e ispanici — aveva superato di molto le tredici persone, Sliwa inventò un altro nome, quello definitivo: Guardian angels. L’uniforme rimase la stessa, ma con l’aggiunta di una maglietta bianca con stampato in rosso un occhio massonico.
La nascita dei Guardian angels coincideva con la crisi profonda della città: servizi pubblici ridotti all’osso, licenziamenti di massa, aumento della criminalità e sfiducia nella polizia. Le istituzioni non erano in grado di dare una risposta a questi problemi e i cittadini si organizzavano da soli per garantire sicurezza e ordine. Sliwa, abile comunicatore e maestro di autopromozione, trasformò il gruppo in un fenomeno mediatico. Il suo messaggio era semplice e potente: la paura genera crimine, solo il coraggio e la solidarietà possono restituire vitalità ai quartieri.
Negli anni ottanta il rapporto di Sliwa con la polizia si ribaltò. Dopo essere stato arrestato decine di volte e aver accusato gli agenti di usare tattiche brutali, si schierò con il fronte “legge e ordine”. Nel 1984 difese il vigilante Bernhard Goetz, che aveva sparato a quattro ragazzi neri nella metropolitana, e negli anni novanta appoggiò l’ondata repressiva del sindaco Rudy Giuliani. Il suo linguaggio diventò più aggressivo, e le ronde dei Guardian angels si fecero più violente: da simbolo di organizzazione dal basso, il gruppo diventò ingranaggio di un sistema punitivo. Sliwa, spiega Willa Glickman in un ritratto uscito sulla New York Review of Books, si allineò al cambiamento radicale in corso: dalla New York fallita e “autogestita” degli anni settanta si era passati alla metropoli neoliberista degli anni novanta, fatta di privatizzazioni, sicurezza delegata, rinascita urbana costruita sul controllo sociale.
Dopo gli anni delle ronde, Sliwa è diventato conduttore radiofonico, poi candidato sindaco per il Partito repubblicano. Non ha mai ricoperto cariche elettive, ma resta un volto familiare della città: il berretto rosso, l’accento di Brooklyn, le trovate teatrali.
Nel 2025 si è candidato di nuovo con una proposta che mescola populismo, difesa degli animali, avversione per le tasse e ossessione per la sicurezza. Il suo stile è insieme folcloristico e reazionario: parla il linguaggio delle strade ma difende l’ordine dei potenti.
New York vive un altro periodo di crisi, e lui probabilmente ha sperato che l’insoddisfazione sociale potesse, come in passato, spianare la strada al fronte “legge e ordine”. Ma la città di oggi è molto diversa da quella che lui ricorda con nostalgia: il modello progressista che ha governato per anni sembra arrivato al capolinea, ma a quanto pare per i cittadini la soluzione non è l’uomo forte ma un giovane socialista musulmano nato in un altro continente.
In tanti gli hanno chiesto di farsi da parte in modo che Cuomo possa avere un’opportunità contro Mamdani. Ma lui non ne vuole sapere. Di recente, all’ennesima domanda sul suo possibile ritiro, ha detto: “No, no, no. Mille volte no. Non posso essere comprato. Non posso essere affittato. Non posso essere noleggiato. Non sono corruttibile”. In un’epoca in cui Trump riesce a piegare ogni repubblicano, Sliwa resta un caso a parte: più che un politico, è una creatura di New York, irriducibile e vanitosa, che non risponde a nessuno se non a se stesso.
La New York di Sliwa e dei Guardian angels è stata raccontata in decine di libri, film e documentari. Eccone qualcuno:
- I guerrieri della notte, film di Walter Hill sul mondo delle gang di fine anni settanta (a noleggio su Amazon Prime).
 - Città in fiamme, romanzo di Garth Risk Hallberg ambientato durante il blackout del 1977.
 - La prima stagione di Hip-hop evolution, sulla nascita del genere (su Netflix).
 - The seven five, documentario sulla corruzione della polizia di New York negli anni ottanta (su YouTube, in inglese).
 - When they see us, miniserie di Ava DuVernay sui cosiddetti central park five, i cinque ragazzi condannati senza prove nel 1989 per l’omicidio di una jogger (su Netflix).
 - Giuliani time, documentario sulla svolta securitaria di Rudy Giuliani (a noleggio su Amazon Prime).
 
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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