Si è sempre dato per scontato che difficilmente la chiesa cattolica potesse decidere di farsi guidare da un cardinale proveniente da un paese che non solo è la principale potenza mondiale (con tutto quello che ne consegue in termini di influenza geopolitica) ma anche la massima espressione di una cultura individualista teoricamente in contrasto con gli insegnamenti cattolici.
E sembrava poi improbabile che il primo papa statunitense potesse essere eletto dal collegio cardinalizio più eterogeneo dal punto di vista geografico della storia, peraltro durante la presidenza di Donald Trump, in un momento in cui Washington accentua la sua aggressività nei confronti del resto del mondo.
Ma a ben guardare queste condizioni potrebbero aver aiutato, invece che impedito, l’elezione di Robert Francis Prevost con il nome di Leone XIV. Per capire perché, serve un breve riassunto di quello che è successo negli ultimi anni nel mondo cattolico statunitense e di come quelle dinamiche hanno condizionato la chiesa nel suo complesso.
Negli ultimi decenni il peso del cattolicesimo statunitense è cresciuto a livello politico, culturale e mediatico, ma sono aumentate anche le tensioni al suo interno.Tensioni esplose dopo l’uscita di scena di Benedetto XVI, nel 2013. Francesco, il primo papa latinoamericano, si era mostrato da subito molto scettico nei confronti del ruolo degli Stati Uniti nel mondo e aveva messo l’accento su temi – come la solidarietà verso le persone ai margini della società, la crisi climatica, l’accoglienza dei migranti – che la ricca e conservatrice chiesa americana considerava secondari se non irricevibili.
Questo ha provocato la reazione di una frangia sempre più organizzata e influente di cattolici conservatori, che attraverso mezzi d’informazione autonomi, centri studi e alleanze e politiche hanno cercato di contrastare l’impostazione del papa.
Anche se Francesco è rimasto un papa piuttosto popolare (tre quarti dei cattolici americani aveva un’opinione favorevole di lui poco prima che morisse), la campagna conservatrice è riuscita a spostare la chiesa statunitense a destra mentre in buona parte del resto del mondo andava a sinistra. Più di tre quarti dei nuovi sacerdoti statunitensi si identificano come teologicamente conservatori, e le messe in latino attirano giovani famiglie, in cerca di stabilità e identità. I cattolici che frequentano più assiduamente la messa sono più inclini a opporsi ai cambiamenti nelle restrizioni della chiesa in materia di contraccezione e sacerdozio femminile.
Con l’ascesa politica di Trump le fratture teologiche e religiose sono state esacerbate dalla polarizzazione politica, una deriva che minaccia di destabilizzare non solo la società statunitense ma anche la stessa chiesa cattolica, che rischia di andare verso quello che Massimo Faggioli, docente di storia della chiesa all’università di Villanova, in Pennsylvania, ha definito “scisma liquido”: non una rottura formale ma due mondi che si ignorerebbero a vicenda.
Un papa statunitense in teoria dovrebbe essere in grado di gestire questa situazione meglio di quanto sia riuscito a fare Francesco. Quindi l’elezione di Prevost, che su molti temi sembra in continuità con Bergoglio ma allo stesso tempo è percepito come più tradizionalista, sembra essere dettata anche dal bisogno di riguadagnare influenza tra i cattolici statunitensi e di ricomporre quella frattura. Ma è una sfida molto difficile, proprio per quell’abitudine, ormai profondamente radicata tra gli statunitensi, di vedere la fede attraverso una lente tribale e politica.
Robert Frances Prevost è nato a Chicago, ma la parte più interessante della sua storia familiare riguarda New Orleans, la città della Louisiana che per via dei suoi intrecci culturali e razziali ha sempre occupato un posto speciale tra le città statunitensi. Il nuovo papa discende da creoli, un termine che all’origine indicava persone di origine europea nate nelle Americhe, e che con il tempo è stato usato per descrivere persone di etnia mista e non bianche.
I suoi nonni materni si chiamavano Joseph Martinez e Louise Baquié. Entrambi descritti come neri o “mulatti” in vari documenti storici, vivevano nel Seventh ward, il quartiere tradizionalmente cattolico abitato da persone con radici africane, caraibiche ed europee. Si trasferirono a Chicago all’inizio del novecento ed ebbero una figlia: Mildred, la madre del papa. Scrive il New York Times: “Leone XIV non è solo il primo pontefice nato negli Stati Uniti, ma proviene anche da una famiglia che riflette i molti fili che compongono il complesso e ricco tessuto della storia americana”.
◆ Oggi il 20 per cento degli adulti statunitensi, circa 53 milioni di persone, si definisce cattolico (i protestanti costituiscono il gruppo religioso più numeroso del paese, circa il 46,5 per cento della popolazione, ma sono divisi in decine di denominazioni e gruppi diversi). Questa percentuale è rimasta sostanzialmente stabile dal 2014, ma è inferiore rispetto al 2007, quando il 24 per cento degli adulti si identificava come cattolico.
◆ Negli ultimi anni è cambiata molto la composizione demografica della comunità cattolica. Oggi i bianchi rappresentano il 54 per cento della popolazione cattolica, le persone di origine latinoamericana il 36 per cento, gli asiatici-americani il 4 per cento, gli afroamericani il 2 per cento. Dal 2007 la percentuale di bianchi è diminuita di 10 punti, mentre quella degli ispanici è aumentata di 7 punti. Significa che il totale dei cattolici è rimasto stabile solo grazie ai nuovi immigrati, provenienti per lo più dall’America Latina. Questo cambiamento ha implicazioni per il profilo dei cattolici americani in generale, perché i cattolici di origini diverse hanno caratteristiche sociali e politiche diverse (ci arriviamo tra poco).
◆ Più di quattro cattolici statunitensi su dieci sono immigrati (29 per cento) o figli di immigrati (14 per cento). Tuttavia, per alcuni gruppi etnici le percentuali sono molto più alte: il 78 per cento dei cattolici di origine asiatica è nato fuori dagli Stati Uniti, e un ulteriore 14 per cento è nato nel paese ma ha almeno un genitore originario di un altro paese. Tra i cattolici ispanici, il 58 per cento è nato fuori dagli Stati Uniti e il 22 è nato negli Stati Uniti da almeno un genitore immigrato. Al contrario, l’83 per cento dei cattolici bianchi proviene da famiglie che vivono negli Stati Uniti da tre o più generazioni.
◆ I cattolici tendono a essere più anziani rispetto alla popolazione statunitense in generale. Quasi sei adulti cattolici su dieci hanno 50 anni o più. Se si considera l’intera popolazione che rientra in quella fascia d’età, la percentuale scende al 47 per cento. Tuttavia, i cattolici ispanici e di origine asiatica tendono a essere molto più giovani dei cattolici bianchi. Solo il 14 per cento dei cattolici ispanici e il 20 dei cattolici di origine asiatica hanno 65 anni o più, contro il 39 per cento dei cattolici bianchi.
◆ I cattolici sono distribuiti in modo relativamente uniforme negli Stati Uniti. Circa tre su dieci vivono nel sud, mentre il 26 per cento vive nel nordest, il 25 per cento nell’ovest e il 20 per cento nel midwest. Ovviamente la composizione etnica della popolazione cattolica varia a seconda della regione. Per esempio nel midwest il 78 per cento dei cattolici è bianco e il 15 per cento è ispanico. Nell’ovest i numeri quasi si invertono: i cattolici ispanici sono più numerosi dei cattolici bianchi (58 per cento contro 27).
◆ Più di un terzo dei cattolici statunitensi ha una laurea. Un altro 27 per cento ha frequentato l’università ma non ha preso la laurea, mentre il 38 per cento ha un diploma di scuola superiore o un titolo di studio inferiore. Questa distribuzione è simile a quella della popolazione adulta in generale. In media, i cattolici di origine asiatica e quelli bianchi hanno un livello d’istruzione più alto rispetto ai cattolici ispanici.
◆ Circa tre cattolici statunitensi su dieci dichiarano di partecipare alla messa una volta a settimana o più spesso. Una percentuale maggiore dichiara di pregare ogni giorno (51 per cento) e afferma che la religione è molto importante nella propria vita (44 per cento). In confronto i protestanti sono leggermente più propensi a dichiarare di fare o credere in ciascuna di queste cose.
◆ Circa la metà dei cattolici iscritti alle liste elettorali (53 per cento) si identifica o propende per il Partito repubblicano, mentre il 43 per cento si dichiara affiliato al Partito democratico. Tuttavia, l’affiliazione partitica varia a seconda dell’appartenenza etnica. Circa sei elettori cattolici bianchi su dieci (61 per cento) dichiarano di identificarsi con i repubblicani, mentre il 36 per cento si identifica con i democratici.
Al contrario, il 56 per cento dei cattolici ispanici che sono elettori registrati dichiara di identificarsi con il Partito democratico, rispetto al 39 per cento che preferisce il Partito repubblicano.
◆Anche se la chiesa cattolica si oppone all’aborto, il 59 per cento dei fedeli pensa che questa pratica dovrebbe essere legale. Tra questi il 35 per cento ritiene che dovrebbe essere legale nella maggior parte dei casi e il 25 per cento è convinto che dovrebbe essere legale in tutti i casi. Quattro cattolici su dieci sono convinti che l’aborto dovrebbe essere illegale nella maggior parte dei casi (26 per cento) o in tutti i casi (13 per cento).
Le opinioni dei cattolici sul tema tendono ad allinearsi con le loro idee politiche. Il 78 per cento dei cattolici democratici pensa che l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere legale nella maggior parte dei casi o in tutti i casi. Tra i cattolici repubblicani la percentuale scende al 43 per cento. I cattolici democratici sono leggermente meno propensi dei democratici nel loro complesso a ritenere che l’aborto dovrebbe essere legale nella maggior parte dei casi o in tutti i casi.
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